domenica 13 agosto 2017

VISITA ALLA RIMAFLOW, UN PROGETTO DA SOSTENERE E DIFFONDERE.

da Diario Legnanese
13.08.2017



























Pochi giorni fa stampa e televisione sono tornati ad interessarsi della vicenda Rimaflow e non per dare notizie positive ma per evidenziare come la burocrazia istituzionale ed una scarsa volontà politica tenta di affossare una delle più importanti esperienze italiane di fabbriche recuperate ed autogestite.

Nel dicembre 2012 la Maflow, fabbrica di Trezzano sul Naviglio in provincia di Milano che lavorava nel campo automotive, ha chiuso i battenti vittima di speculazioni finanziarie nonostante un andamento produttivo positivo. A partire dal 2013 con l’occupazione della fabbrica, materializzando l’insieme delle lotte a difesa del lavoro e del reddito, iniziate nel 2009 dai lavoratori e delle lavoratrici della Maflow, c’è stato l’avvio del progetto autogestito “Rimaflow”.

La redazione di Diario Legnanese, impegnata fin dalla sua costituzione a seguire le vicende di fabbriche dismesse o chiuse e recuperate con forme di autogestione dagli stessi lavoratori, ha visitato la Rimaflow il 26 maggio di quest’anno. In breve il racconto della giornata.

Ad accoglierci ai cancelli della fabbrica, in un pomeriggio assolato, c’è Antonio responsabile della comunicazione per la Cooperativa. Riceviamo il benvenuto da un cartello che riassume lo spirito dell’iniziativa ed è tutto un programma in progress per una chiara visione anticapitalistica del lavoro e della società: fabbrica autogestita senza padroni.

Prima di iniziare la visita dei vari laboratori e spazi, Antonio ci spiega l’architettura del progetto Rimaflow: «Con questo progetto vogliamo sostenere un nuovo modo di intendere lo sviluppo, è il tentativo di rispondere alle due problematiche del nostro tempo: la crisi economica-finanziaria e quella ecologica: le nostre parole d’ordine sono: Reddito, Lavoro, Dignità, Autogestione. Riappropriandoci del nostro lavoro stiamo attuando una conversione ecologica della fabbrica. L’obiettivo è quello di realizzare una “cittadella dell’altra economia” per riportare il lavoro all’interno dei capannoni abbandonati dal padrone e diffondere un nuovo modo di intendere la produzione e i consumi».

Per questo la Rimaflow è stata trasformata in una vera e propria “cittadella dei mestieri, dell’artigianato e del riciclo”. Attualmente sono in corso molteplici e svariate attività che abbiamo visitato:
  • ·    assistenza e ricondizionamento computer e smartphone, piccoli elettrodomestici, apparecchiature elettriche su misura e smaltimento materiale elettronico;
  • ·         Riciclofficina;
  • ·         falegnameria su misura e di riciclo;
  • ·         tappezzeria e restauro;
  • ·         show-room mobili e oggetti usati e/o restaurati;
  • ·         cucito creativo;
  • ·         fabbro per lavorazioni del metallo e creazioni artistiche;
  • ·         laboratorio per lavorazione della lana cotta e feltro per abbigliamento;
  • ·         laboratorio per lavorazione artistica della carta e cartone-bigiotteria;
  • ·         calzoleria e piccola ferramenta;
  • ·         modellismo;
  • ·         una biblioteca in fase di allestimento;
  • ·         trasporti-sgomberi;
  • ·         rimessaggio camper;
  • ·         sala prova musicale;
  • ·         un attrezzato Bar/mensa punto di ritrovo anche sociale per tutta la fabbrica (tutta l’attrezzatura è stata presa, perché dismessa, dall’Ospedale San Gerardo di Monza e riutilizzata), oltre ad altri spazi da poter ancora utilizzare.  
Molto importanti sono anche i corsi di formazione al lavoro per disoccupati e immigrati che di volta in volta vengono avviati quando necessari. Al momento della nostra visita era attivo per diversi ragazzi immigrati, il corso di informatica sull’uso del PC e relativi programmi.

Siamo usciti da questa visita fortemente impressionati dall’umanità e dalla forte volontà espressa dagli operai incontrati, di proseguire nel progetto di recupero della ex Maflow. In questa lotta non abbiamo colto una visione romantica della lotta di classe, ma bensì la necessità concreta di affermare un nuovo modello di economia, con al centro la dignità dell’uomo e non il suo sfruttamento e il rispetto dell’ambiente.

Sapranno le istituzioni locali e statuali recepire questo messaggio? Ci auguriamo di sì. Il progetto Rimaflow non può morire per “legalità burocratica”, anzi andrebbe recepito in una procedura istituzionale standard in casi di aziende abbandonate e lasciate a marcire per anni ed anni. Sicuramente torneremo ancora in Rimaflow, sia per vedere e raccontare i futuri sviluppi del progetto, che per raccontare più miratamente le esperienze lavorative e anche umane dei suoi lavoratori. Un grazie particolare ad Antonio e a tutte le persone incontrate in Rimaflow, che con il loro aiuto ci hanno permesso la stesura di questo breve racconto.