mercoledì 27 aprile 2016

GLI OSPEDALI SONO DIVENTATI BAMBINIFICI

Giuseppe Marazzini
27.04.2016

Ora parlano le ostetriche: «La vera violenza sulle donne? Gli ospedali sono diventati bambinifici» Un’ostetrica segue anche due o tre donne contemporaneamente, tutto è medicalizzato e si deve fare di fretta.
di Lidia Baratta



















Lasciate al buio nude, per ore. A volte senza mangiare, né bere. Dolore, punti di sutura, manovre invasive. Spesso senza che ce ne sia realmente il bisogno e senza il consenso della donna. Mentre in corsia si sentono frasi come “allarga queste c... di gambe, cretina”, “sei ingrassata troppo”, “non possiamo seguire tutte”. E poi parti cesarei praticati senza necessità, e anestesie epidurali somministrate quando capita. I racconti delle mamme diffusi su Facebook e Twitter con l’hashtag #bastatacere, raccolti da Human Rights in Childbirth, descrivono il duro mondo delle sale parto italiane. Dove con i tagli alla sanità e gli organici ridotti all’osso, si va sempre più di corsa seguendo rigidi protocolli organizzativi, senza badare troppo ai convenevoli. Anche in un momento come il parto. Persino nei migliori ospedali, con sei sale parto attive, di solito non si trovano più di due o tre ostetriche di turno. Il tempo, e il personale, per accompagnare la donna al parto, con i suoi tempi, non ci sono. Meglio indurlo, fare di fretta, praticare un cesareo.


La realtà la raccontano le stesse ostetriche, che da anni combattono contro la trasformazione del loro stesso lavoro. «Da quando manca un rapporto privilegiato con ogni donna in travaglio, molti ospedali sono diventati bambinifici», dice Loredana Zecchin, presidente dell’Associazione Felicita Merati e ostetrica dell’ospedale di Monza, una delle eccellenze del settore, dove a ogni coppia viene garantita un’ostetrica dedicata per l’accompagnamento al parto. «Senza il tempo giusto da offrire, tutto diventa un meccanismo finalizzato alla produzione dell’atto del partorire. Arriva una donna in travaglio, le dicono “mettiti qui”, la visitano. Nessuno chiede con interesse personale “Come stai?”, “Come ti senti?”, se ha mangiato o se sta bene nel posto in cui è stata lasciata».


Gli standard qualitativi vorrebbero che ci fosse una ostetrica per ogni donna, come accade a Monza, ma è molto raro. Un’ostetrica oggi può trovarsi a seguire nello stesso tempo due o tre donne in travaglio. E quindi va e viene da una stanza all’altra. E se ti capita di partorire “a cavallo” dei turni, all’improvviso ti trovi seguita da un’altra persona. «Come si può entrare in relazione, fornire supporto adeguato, massaggiare la schiena, aiutare a stare con la paura, con la fatica e le sensazioni dolorose, creare un ambiente intimo, sicuro e protettivo? Questa mancanza per le donne è una violenza», dice Zecchin.

Oggi le ostetriche in Italia sono circa 17.300. Considerando l’incidenza ogni 10mila abitanti, l’Italia si trova al 17esimo posto in Europa. Una carenza che è stata anche denunciata in un’indagine dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Nei racconti che si trovano sui social con l’hashtag #bastatacere si legge di molte attese solitarie. «Sono felice di non aver avuto un travaglio lungo perché per quel breve tempo che a me è sembrata un’eternità sono stata sola, abbandonata a me stessa», racconta una mamma. «Anno 2016. Dieci ore di travaglio da sola in una stanza», scrive un’altra. L’assistenza dell’ostetrica finisce per ridursi solo ai «momenti in cui la donna spinge o quando ha particolare bisogno», dice Zecchin. E «quando il meccanismo naturale del parto non viene facilitato con un supporto dato dall’ostetrica competente a tutelare il benessere mamma-figlio, la donna in travaglio vive un dolore molto più potente e destabilizzante che motiva poi l’intervento medico».


Gli ospedali sono diventati bambinifici.
Arriva una donna in travaglio, le dicono “mettiti qui”, la visitano. Nessuno chiede con interesse personale “Come stai?”, “Come ti senti?”, se ha mangiato o se sta bene nel posto in cui è stata lasciata

Qui si complica tutto. Sono momenti concitati. E ogni mamma ha la sua storia. Iniezioni di ossitocina (per stimolare le contrazioni), epidurale, manovre sulla pancia e nella vagina, taglio cesareo. La sala parto in questi anni è diventato il terreno di battaglia tra medici e ostetriche. Il disegno ideale è questo: i medici intervengono quando ci sono problemi legati alla gravidanza o al parto; altrimenti è tutto in mano alle ostetriche. E invece «in sala parto esiste un conflitto di base tra medici e ostetriche con una forte interferenza da parte dei medici», racconta Sara Veltro, ostetrica con un’esperienza di 20 anni in ospedale e oggi libera professionista. I medici sono presenti anche quando la gravidanza è definita “a basso rischio”. O per protocollo aziendale, o per scelta del medico stesso. E per ogni situazione «anche solo minimamente border line, si ricorre al cesareo», dice Veltro. Anche perché «la medicina difensiva ha contagiato pure le nascite e per ragioni medico-legali nessuno vuole assumersi responsabilità».

Il risultato è che laddove prima c’era l’ostetrica che seguiva e interpretava movimenti, dolori e lamenti delle donne, oggi si trovano le macchine. In quei momenti, racconta Loredana Zecchin, «ha molto valore il tempo dedicato e la qualità della relazione che si instaura con i protagonisti del parto». E invece, di tempo da “perdere”, nelle nostre corsie d’ospedale non ce n’è. Le ostetriche hanno i secondi contati. La visita ginecologica non può durare più di 20 minuti. Anche i pochi ospedali che prevedono il parto in acqua, alla fine lo praticano sì e no nell’1% dei casi. Perché per far partorire una donna in acqua servono due ostetriche per una sola donna. E con tre ostetriche di turno, è difficile poterselo permettere. «L’ostetrica arriva a sentirsi dire che non può “perdere tempo” nelle “cose che non servono”», racconta Zecchin. «In alcuni centri se ci si sofferma con la donna si viene mal giudicati». Alla fine o si lascia il posto di lavoro o ci si adatta allo stato delle cose.

«Le sale parto, da qualche anno, sono luoghi silenziosi», racconta Sara Veltro. «Un’intera generazione di medici e ostetriche si sono formati tramite un modello assistenziale dove le donne sono state messe a tacere. Le donne non esprimono più il loro sentire in travaglio, perché spesso sono anestetizzate. Questo impedisce a chi assiste di poter interpretare adeguatamente la fisiologia. Di conseguenza durante l’assistenza al travaglio e al parto tutte le azioni possono essere inappropriate».





















Le sale parto, da qualche anno, sono luoghi silenziosi. Un’intera generazione di medici e ostetriche si sono formati tramite un modello assistenziale dove le donne sono state messe a tacere. Le donne non esprimono più il loro sentire in travaglio, perché spesso sono anestetizzate

È importante, allora, «che le donne arrivino preparate al parto», spiega Maria Vicario, presidente della Federazione nazionale dei collegi delle ostetriche. «E che soprattutto scelgano con cura la struttura in cui vanno a partorire, senza delegare al medico». Le cose da fare sono: «Seguire i corsi di accompagnamento alla nascita, informarsi e conoscere le ostetriche. Si acquisiscono così le conoscenze che sono utili per scegliere la struttura giusta: leggendo la carta dei servizi e i protocolli seguiti, si sa cosa ci si può aspettare. E con le competenze giuste possono anche essere in grado di contrastare le pratiche che si trovano a subire».

Il problema è che di consultori territoriali dove seguire i corsi ce ne sono sempre meno. E spesso sono tenuti da fisioterapisti, esperti di yoga, psicologi, senza presenza della figura dell’ostetrica. Oggi, durante le cure prenatali, l’83% delle donne italiane è assistito da un ginecologo, solo il 3% da ostetriche e il 15% da consultori familiari. E anche i protocolli messi nero su bianco dagli ospedali a volte possono essere disattesi dal medico di turno. «I protocolli sono ufficiali e pubblici, le consuetudini sono spesso intessute in un sistema radicato e quindi poco rimuovibili», racconta Zecchin. «In molte strutture l’intervento medicalizzante è una consuetudine. E spesso la risposta assistenziale è adeguata alle necessità della struttura più che alla necessità di tempo e cura della coppia in travaglio».

L’11 marzo 2016 è stata depositata dal deputato di Sel Adriano Zaccagnini una proposta di legge, “Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico”, che introduce il reato di “violenza ostetrica” a seguito della dichiarazione dell’Oms sulla “Prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere”. «Deve esserci una attivazione comune tra donne e ostetriche», dice Loredana Zecchin, «bisogna assumersi la responsabilità di custodire la nascita e rispettare la fisiologia delle donne e il valore femminile».