venerdì 28 maggio 2010

L’Iva sulla Tia va risarcita

TeramoNews
25-05-2010 Ore 18:06
Giancarlo Falconi


Vi ricordate ? Era il cinque febbraio 2010 quando scrivemmo che l’istanza presentata da un cittadino per ottenere un provvedimento deve avere risposta. Il silenzio rifiuto della pubblica amministrazione è illegittimo ( Tar Lazio 9948/2007). La pubblica amministrazione è obbligata a fornire una risposta senza rimanere inerte. Ciò, in base alle disposizioni in cui gli articoli 2 e 3 della legge del 7 Agosto 1990” .

Da quel giorno sull’argomento Tia e il risarcimento dell’Iva pagata indebitamente secondo la corte Costituzionale, il silenzio assoluto da parte dell’Amministrazione Brucchi. Oggi ci viene in aiuto, regalandoci maggiore chiarezza sull’argomento, (la parola al consumatore) la sentenza n. 27/2010, in cui la Commissione Tributaria provinciale di Reggio Emilia si è uniformata al principio sancito dalla Corte costituzionale, secondo cui la TIA ha natura tributaria. E' quindi nulla la bolletta/fattura TIA emessa con IVA. Il caso è stato sollevato da un contribuente, per aver impugnato una fattura emessa dalla società che gestisce il servizio rifiuti; la fattura era stata emessa quale corrispettivo per il servizio di rifiuti urbani ed assimilati per due locali occupati, ed era comprensiva di IVA emessa nell’ottobre del 2009, dopo quindi, la sentenza della Consulta che ne dichiarava la natura tributaria e quindi l’inapplicabilità dell’imposta sul valore aggiunto. Il ricorso era per l’annullamento dell’atto emesso dall’ente gestore e anche contro il Comune perché ente impositore.

La CTP osserva che con la sentenza n. 238/2009, la Corte Costituzionale ha dichiarato che la TIA è un tributo, del tutto identico alla tassa sui rifiuti. In quanto tale, i relativi proventi percepiti non possono essere assoggettati a imposta sul valore aggiunto, che invece colpisce solo i corrispettivi delle prestazioni di servizi. Il soggetto ricorrente chiede l’annullamento della fattura per mancanza dei requisiti richiesti dalla Consulta e in via subordinata la non debenza dell’IVA. La Commissione rileva in diritto e nel merito che la Consulta con la citata sentenza ha rilevato con assoluta chiarezza ed esaustività che la TIA è un tributo; La sentenza della Corte Costituzione n. 238 del 16/23 luglio 2009 è stata pubblicata in G.U. n. 30 del 29 luglio 2009; in base all'art. 136, comma 1, della Costituzione “quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione“.

La CTP di Reggio Emilia nella parte finale della sentenza non si limita a bocciare, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, l’applicazione dell’IVA sulla TIA, ma dichiara anche nulla la fattura emessa dall’ente gestore perché priva delle informazioni obbligatorie per gli atti tributari degli enti locali. Ora la parola passa alla Federconsumatori di Teramo che insieme all’Idv di Teramo, al Partito Democratico, al dott. Leonardo Codirenzi, (non avvocato), decideranno per una class action nei confronti del ente locale. Nel frattempo il partito dalle cinque stelle sembrerebbe pronto per una propria azione di ricorso amministrativo.

giovedì 27 maggio 2010

Le energie rinnovabili avranno un futuro a Legnano?

di Giuseppe Marazzini
27.05.2010


Nella fase “partecipativa” alla stesura del Piano di Governo del Territorio (PGT) la questione delle energie rinnovabili non è emersa in modo preponderante, anzi non se parlato proprio.
Eppure un timido tentativo di fare strategia nel campo energetico è stato fatto da AMGA nel 2002 nell’imminente lancio del progetto teleriscaldamento, per l’occasione preparò per l’amministrazione comunale un Piano Energetico della Città di Legnano ( probabilmente gli amministratori non se lo ricordano neanche più).

Il Piano (che andrebbe aggiornato) prendeva in esame il fabbisogno energetico della città e fissava le linee guida dell’uso razionale dell’energia.
Un paragrafo del Piano prendeva in considerazione, ad esempio, l’utilizzo del fotovoltaico per generare potenza ad integrazione dei fabbisogni elettrici dell’utenza, pur non precisando modalità di intervento e tecnologie applicative.
Un tema, quello del fotovoltaico, di cui oggi in città se ne parla con più cognizione di causa in relazione anche al futuro impianto che verrà realizzato da AMGA nel nuovo ospedale. Su questa iniziativa è bene spenderci due parole perché si tratta di una realizzazione importante sia sotto il profilo ambientale che quello tecnologico.

Verranno installati sulle pensiline di copertura dei parcheggi, oltre 10.000 mq. di superficie, 7.140 moduli fotovoltaici per una potenza di 1,57 MW e una energia annua prodotta di 1.600 MWh, con una riduzione di anidride carbonica nell’ambiente di 850 tonnellate/anno (dati forniti da AMGA). Ho voluto riportare questi dati per dare una idea di quanto sia determinante questa tecnologia per la tutela ambientale e il risparmio energetico.

Gli esperti del settore ci dicono che l’Italia consuma ogni anno, in media, circa 55.000 MW di potenza elettrica. Sostengono che coprendo l’1% della superficie italiana (3.013 Kmq) con pannelli fotovoltaici potremmo produrre tutta l’energia che ci serve. Sempre secondo questi esperti, sommando la superficie di tutti i tetti, capannoni industriali e parcheggi si arriva quasi all’1%.
Sarà possibile estendere capillarmente questa tecnologia in città?
Non credo che ciò sarà possibile per tutti gli edifici esistenti se non con costi altissimi. Per gli edifici costruiti negli anni più recenti probabilmente è fattibile un recupero a tali funzioni, ma per gli edifici più vecchi le cose sono un po’ più complicate.

A Legnano ci sono 2.199 edifici costruiti entro il 1919; 2.175 edifici costruiti dal 1919 al 1945; 3.996 edifici costruiti dal 1946 al 1960; 5007 edifici costruiti dal 1961 al 1971; 3.669 edifici costruiti dal 1972 al 1980; 2.773 edifici costruiti dal 1981 al 1991 (dati AMGA), i quali, per ottenere dei benefici energetici efficaci andrebbero “ricostruiti” (azione da non escludere).

Quindi non si deve fare nulla? Assolutamente no. Proprio in vista di alcuni cambiamenti di destinazione d’uso di aree importanti della città, come la ex caserma Cadorna destinata, pare, a funzioni di servizio, perché allora non destinare qualche area industriale dismessa per realizzare un impianto fotovoltaico simile a quello del nuovo ospedale, utile a compensare le perdite energetiche di un patrimonio edilizio piuttosto vecchio. Penso che la ex Gianazza sia il sito più adatto per fare questo tipo di impianto, un’area che potrebbe essere destinata in buona parte a parcheggio di scambio gomma-gomma (da auto a bus) di servizio alla città e ai collegamenti con Milano, Malpensa ed ai futuri grandi eventi internazionali in programmazione.

domenica 23 maggio 2010

Legnano - seduta consiglio comunale del 25/05/10

Le nuove tre interrogazioni del Gruppo consiliare Sinistra ed Ecologisti Legnanesi.

Giuseppe Marazzini
23.05.2010


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giovedì 20 maggio 2010

Addio ad un grande artista ed eroico partigiano combattente

Scritto da Il Tirreno Massa Carrara
Sabato 08 Maggio 2010
M.B.


Scultore internazionale, medaglia d’argento al valore civile Camera ardente in Comune.
Nori: credevo fosse eterno

CARRARA. Artista geniale, eroe della Resistenza (medaglia d’argento al valor militare), scrittore, intellettuale e polemista: Carrara piange la scomparsa di un grandissimo concittadino, straordinario con lo scalpello ma anche - da partigiano - con il tritolo. Nardo Dunchi, 96 anni compiuti il 22 febbraio, ha chiuso intorno alle 18 ieri una vita intensa. Un cittadino illustre e che ha dato fama alla sua città - la sua imponente scultura alla rotatoria di Turigliano è ormai un simbolo - e da stamani Carrara gli dedicherà una camera ardente, dalle 12 nella sala consiliare, dove tutti potranno rendergli omaggio.

ENRICO NORI: CREDEVO FOSSE ETERNO. Enrico Nori, per anni speech-writer degli Agnelli, candidato a sindaco nel 94, conosceva bene Dunchi: «Credevo che fosse eterno, come le forze della natura. In meravigliose, sperdute stagioni, mi ha insegnato il signifcato della vita», commenta. Il pensiero va ai primi Anni 60, quando a Fiumaretta Enrico Nori viveva in simbiosi con Nardo Dunchi, incontrando Vittorio Sereni, Franco Fortini e tutto il mondo intellettuale che in quegli anni indimenticabili ruotava attorno a Bocca di Magra. «E pescavamo, eravamo contenti, e pensavamo di essere immortali - aggiunge Nori - Poi purtroppo io feci l’errore di andare a lavorare...». E ancora: «Nardo è stato un personaggio straordinario, il suo capolavoro è stata la vita. Che vita... E poi aveva un senso della natura davvero incredibile».

UFFICIALE, PARTIGIANO, ARTISTA. Proprio di recente, il 27 marzo, in occasione della bella mostra sul salvataggio di Abu Simbel (insieme a Carlo “Pipa” Andrei, Dunchi fu fra gli ideatori del metodo poi usato per salvare i templi), era stata pubblicata una monografia sull’artista, in parallelo a una rassegna retrospettiva (alla cui inaugurazione aveva presenziato) con alcune sculture in marmo, le sue “Armonie di ombre e di luci”, e altre in legno. Ma realizzò anche gioielli. Proprio da quel libro estrapoliamo alcune note biografiche.Nardo Dunchi, nato a Carrara il 22 febbraio del 1914, si diplomò all’Accademia di Belle Arti di Carrara nel 1936 nella sezione scultura con Arturo Dazzi; poi, come ufficiale negli Alpini nel 1939 fu di stanza ad Aosta, Bassano e successivamente a Cuneo.Dopo l’8 settembre, crea la prima banda partigiana di Boves divenendone il responsabile. Partigiano al fianco di Ferruccio Parri, Piero Calamandrei e Giorgio Bocca ben presto si mette in luce per le sue gesta eroiche. Torna in Toscana sotto l’organizzazione “Otto” che faceva da anello di congiunzione tra gli Alleati ed i Partigiani; dispersa la “Otto” a causa degli arresti, fa la spola fra gli Appennini e le Apuane al fianco di Carlo Andrei “Pipa”. Nel 1957, sulla guerra di Liberazione, Nardo Dunchi pubblica il bellissimo, struggente libro autobiografico “Memorie partigiane”, edito a Firenze dalla “Nuova Italia “.

Ma intanto, finita la guerra si dedica all’arte ed in particolare alla scultura. Allievo e ammiratore di Arturo Martini, scolpisce sia il marmo che il legno. Le sua prima personale è a Carrara nel 1952. Ma Carrara e l’Italia gli stanno strette: dopo qualche periodo a Roma, e Milano, va a Parigi a metà Anni Cinquanta. A Montparnasse entra in contatto con i più grandi artisti: Hans Arp, Zoran Music, Yves Klein, Augustin Cardenas. E inizia ad esporre anche nella capitale francese. In questi anni fa la spola fra Parigi e la Versilia dove conosce Henry Moore e lentamente si fa breccia in lui un nuovo linguaggio, che si distacca dal figurativo. Dunchi (sono ancora passi della biografia scritta da Gabriele Costa) studia come “Obbligare la Luce” e la renderà viva, quasi pulsante. Per fare ciò arriverà a bucare la materia.Importante, la relazione e l’amicizia con l’artista Renato Birolli. Dunchi - scrive Costa - ha realizzato anche vari monumenti: ricordiamo il monumento in piazza “Caduti della Libertà” di Boves, il Monumento al Partigiano di Carrara, ed il Monumento ai Caduti di Massa Marittima. Diverse sue opere sono in spazi pubblici, alcune delle quali in Germania, in Austria, e in Francia. A Legnano ha arredato un vero e proprio parco cimitero; e sempre a Legnano c’è un suo grandioso Cristo in acciaio.

QUANDO IMBRATTÒ LA SUA STATUA. Attivo - e polemico - fino all’ultimo, nel novembre di sei anni fa Nardo Dunchi fu protagonista di un gesto clamoroso. Insisteva che fosse cambiata collocazione alla sua grandiosa scultura alla rotatoria dell’Esselunga. Alla fine, con una bomboletta spray, di vernice nera, sporcò il marmo della sua scultura: risultato, una denuncia per deturpazione e imbrattamento del proprio monumento.
In un episodio, la sintesi di un carattere sicuramente passionale. Un uomo che fu d’azione, capace di far saltare in aria centrali elettriche e ponti, come quello di Vernante, portando da solo il tritolo «sotto le ascelle - raccontò qualche anno fa - perché il freddo non deteriorasse i candelotti. Assaltammo ponti e centrali elettriche, svaligiammo caseifici, perché “i ninin” - aggiunse - avevano fame e i nazisti stavano per portare via un treno di derrate alimentari. Mi hanno dato la medaglia d’argento. Bene, dissi: quella d’oro viene data soltanto ai morti».Nardo Dunchi era l’ultimo vivente di otto fratelli: quattro anni fa morì Emilio, 96enne come lui. Stamani a Pisa arriva suo figlio Emanuel Forrest, ingegnere, che vive a Parigi.

venerdì 14 maggio 2010

Il nuovo ospedale sarà un bene comune o un affare per i privati?

di Giuseppe Marazzini
14.05.2010














Del nuovo ospedale nel rione S. Paolo si è scritto e parlato moltissimo. Si può dire che agli occhi di quelli più attenti, favorevoli o contrari all’opera, nulla è sfuggito.
Del nuovo ospedale si è detto quasi tutto: quanti posti letto, quanto costa, l’impatto urbanistico e quello del traffico, le strade per arrivarci (che ancora non ci sono a pochi mesi della sua apertura).
Per i pubblici poteri, per l’azienda ospedaliera e per molti cittadini il nuovo ospedale è “merveilleux” e, in effetti, si presenta bene.
Quello di cui non si ha più memoria, e i poteri istituzionali giocano un ruolo fondamentale nel far dimenticare le questioni più spinose, è il contesto gestionale e sanitario in cui opererà il nuovo ospedale.
Per quanto concerne la gestione, basta riprendere in mano la convenzione di concessione del marzo 2005, in cui si può leggere che per 337 mesi - 28 anni - i privati che hanno contribuito con le proprie risorse economiche alla realizzazione del nuovo ospedale in project financing avranno in concessione la gestione dei servizi non sanitari, che non sono pochi. Si tratta dei servizi di lavanderia, guardaroba, ristorazione degenti e ristorazione dipendenti, manutenzione ordinaria degli impianti tecnologici, climatizzazione e gestione calore, gestione del verde, pulizie, smaltimento rifiuti e vigilanza. Ovviamente sono servizi che l’Azienda Ospedaliera dovrà pagare.
Il concessionario, inoltre, ha l’incarico di coordinare e di gestire contrattualmente l’attivazione delle utenze con l’azienda erogatrice di energia elettrica, con l’azienda erogatrice dell’acqua e con l’azienda erogatrice del gas-metano.
Tutte queste concessioni sono un’arma formidabile in mano al privato che potrà condizionare a suo piacere il mercato della salute.
A queste condizioni, quanto costerà un posto letto nel nuovo ospedale?
I dirigenti ospedalieri affermano che le attività sanitarie rimarranno nelle mani della gestione pubblica, sì ma fino a quando, dato che il privato non aspetterà 28 anni per invadere il campo.

Chi sono le imprese partecipi dell’operazione nuovo ospedale? Sono la Techint, il Consorzio Nazionale Servizi Soc. coop a.r.l., l’impresa edile Vinco Renzo, l’Italia servizi integrati soc. Consortile per Azioni, la CMB (cooperativa muratori e braccianti di Carpi) e la Aster SpA.
Queste aziende, di ispirazione sociale in apparenza contrastanti, vanno da imprese vicine alla Compagnia delle Opere alle coop “rosse”. In prima istanza esse si sono costituite in Associazione Temporanea di Imprese per poi diventare Genesi Uno SpA, la società che ha ottenuto la concessione sia per la costruzione del nuovo ospedale che per la gestione dei servizi sopra indicati.

Per quanto concerne, invece, il contesto sanitario riporto una ricerca che mette in luce come il privato ha messo le mani sulla sanità in Italia.

LE SETTE SORELLE DELLA SANITA' PUBBLICA
di Vittorio Bonfanti
06.02.2009


Banchieri e immobiliaristi, con forti interessi nell’editoria, sono i potenti del business delle cliniche.
Tra volti noti e nomi sconosciuti, ecco chi sono i padroni della salute


Alcuni sono giganti che hanno fatto la storia dell’economia italiana, come Carlo De Benedetti e Gianfelice Rocca. Altri sono nomi nuovi dell’Italia che conta, per esempio Giuseppe Rotelli e Giampaolo Angelucci. Altri ancora sono quasi sconosciuti al grande pubblico: Ettore Sansavini, Emmanuel Miraglia, Maria Luisa Garofalo. Le loro holding sono le sette sorelle della sanità privata, quelle che svettano per il numero di posti letto sparsi in cliniche, centri di riabilitazione, case di riposo. Posti letto per lo più accreditati, attraverso le Regioni, al Sistema sanitario nazionale, dunque a carico delle casse pubbliche in base a tariffe predeterminate. Nel corso dell’ultimo decennio, a forza di continue acquisizioni, le sette sorelle si sono assicurate le posizioni di punta in un business giudicato tra i più promettenti, causa invecchiamento della popolazione e sempre crescente domanda di salute. Il giro d’affari della sanità italiana nel 2007 è stato di oltre 130 miliardi di euro, investimenti esclusi, secondo l’Oasi, l’Osservatorio aziende sanitarie italiane del Cergas, il Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale dell’Università Bocconi di Milano. È la somma di 102 miliardi di euro di spesa sanitaria pubblica e di 28 miliardi di spesa sanitaria privata. La prima è sborsata dallo Stato per mantenere le strutture pubbliche e rimborsare le prestazioni erogate dai privati accreditati; la seconda è la somma di tutto quello che i cittadini pagano di tasca propria al momento di fare una visita o un intervento in strutture pubbliche e private, per esempio i ticket. Il grosso dell’affare, come si vede, sta nella prima voce, quella dei 102 miliardi. Di questi, sempre nel 2007, agli operatori privati ne sono arrivati più di venti: 8,8 agli ospedali accreditati, 8,6 all’assistenza socio-sanitaria convenzionata (per esempio le case di riposo), 3,6 alla specialistica. Mentre la spesa ospedaliera è stabile, dal 2000 in poi le altre due voci hanno mostrato incrementi medi del 6% all’anno, una crescita determinata soprattutto dall’aumento dei bisogni di anziani e disabili.
Ci sono sorelle maggiori e sorelle minori. Prendiamo il famoso modello lombardo. Nella terra del governatore Roberto Formigoni, le Asl non producono alcun servizio, se non le funzioni base di tutela della salute pubblica e i controlli veterinari. Ospedali e altre strutture pubbliche agiscono in modo indipendente sul mercato, in concorrenza con i privati; il cittadino può scegliere liberamente, tanto a pagare l’intervento o il ricovero è sempre la Regione.
“In Lombardia il privato è fatto di grandi gruppi come la Cir di De Benedetti e la Techint di Rocca -spiega Elena Cantù, responsabile di Oasi- mentre nelle altre regioni gli operatori sono più piccoli. Non possono garantire un’assistenza completa, ma solo determinati servizi. Per questo il modello lombardo è difficilmente esportabile. Il Piemonte voleva adottarlo ma non ce l’ha fatta”. All’opposto del modello lombardo c’è il modello toscano, “con poco privato e molto pubblico, dove le Asl gestiscono strutture in proprio. Non sono scelte esclusivamente ideologiche, perché in una regione storicamente di centrodestra come il Veneto la presenza dei privati è ridotta e riconducibile per lo più a istituti religiosi”. Oltre alle Sette sorelle c’è la Grande madre, cioè la Chiesa. Del business della sanità privata rappresenta una fetta importante, ma difficile da quantificare. La proprietà delle strutture è frammentata tra fondazioni, ordini religiosi, diocesi, tutti enti che non sono tenuti a rendere pubblici i propri bilanci. Tra i più noti c’è il San Raffaele, guidato dal prete-manager Luigi Verzé. L’ospedale milanese, controllato dalla Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, dispone di più di mille posti letto accreditati con il sistema sanitario. Ogni anno, secondo i dati forniti della fondazione, conta 58.200 ricoveri, 25.700 interventi chirurgici, 57.900 accessi al pronto soccorso, oltre 7 milioni e 200mila tra prestazioni ambulatoriali ed esami di laboratorio.
Dio guarisce -questo significa Raffaele in ebraico-, la Regione paga.

Insieme ai banchieri e agli immobiliaristi, gli imprenditori della sanità privata sono tra i nuovi potenti d’Italia, e probabilmente i meno minacciati dalla crisi economica. Molti di loro hanno conquistato un peso rilevante nell’editoria e sono ben introdotti nel mondo politico. Con le controindicazioni che l’avere a che fare con soldi e uomini pubblici comporta, a partire dalle frequenti grane giudiziarie.

Giuseppe Rotelli, Papiniano spa. Rotelli, 68 anni, avvocato di Pavia, è il signore dei posti letto. Ne conta 3.956 concentrati in Lombardia (a parte una struttura a Bologna) e quasi tutti accreditati. Nella regione governata da Formigoni, fanno capo a lui l’8% dei posti letto e il 9,2% dei rimborsi. La società bolognese Papiniano spa, di cui è amministratore unico, controlla il Gruppo ospedialiero San Donato, 18 strutture tra cui la storica Madonnina di Milano e il Policlinico di San Donato. Giuseppe Rotelli è figlio di Luigi, chirurgo che tra gli anni Cinquanta e Sessanta fondò l’Istituto di cura città di Pavia e il Policlinico San Donato. Negli anni Settanta e Ottanta, Giuseppe lavorò al Piano ospedaliero e al Piano sanitario regionale della Lombardia. Nel 2000, con il gruppo San Donato acquisì in blocco le cinque strutture messe in vendita da Antonino Ligresti, fratello del costrutture Salvatore. Ligresti aveva deciso di abbandonare l’attività sanitaria in Italia e di riavviarla in Francia dopo che, nel 1997, dieci pazienti e un infermiere erano morti nell’incendio della camera iperbarica di un suo ospedale, l’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano. Dal 2006, Rotelli controlla il 10% del gruppo Rcs, che pubblica il Corriere della Sera. Nel 2008, la Procura di Milano lo ha messo sotto inchiesta due volte, accusandolo di aver chiesto rimborsi “gonfiati” al Sistema sanitario nazionale. Nel 2007 il gruppo ha fatturato circa 725 milioni di euro.

Emmanuel Miraglia, Giomi spa. Miraglia, 69 anni, a lungo presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata, guida un gruppo familiare con sede a Roma che conta oltre 1.600 posti letto, di cui più di 1.500 accreditati (dati 2006). Controlla 14 centri in Lazio, Toscana, Veneto, Puglia, Calabria e Sicilia. L’ospedale più grande del gruppo è l’Istituto chirurgico ortopedico traumatologico di Latina, con 449 posti letto. Il gruppo Giomi fu fondato nel 1949 da Franco Faggiana, chirurgo e docente alla Sapienza di Roma, ed è gestito da Miraglia fin dal 1973. La famiglia Miraglia è anche socia di Giuseppe Ciarrapico nella holding romana Eurosanità, della quale deteneva una quota anche Carlo Caracciolo, il fondatore dell’Espresso e di Repubblica scomparso a dicembre. Nel 2007 la Giomi ha fatturato 91 milioni di euro.

Carlo De Benedetti, Holding sanità e servizi. La Cir del finanziere torinese detiene il 67% di Hss, nata nel 2002 con sede a Milano e partecipata tra gli altri da Morgan Stanley. Dispone di 4.628 posti letto, più 430 in fase di realizzazione, concentrati prevalentemente in Lombardia, Piemonte e Liguria. Tre quarti del totale si trovano in residenze per anziani -suo il marchio “Anni azzurri”- e il resto prevalentemente in istituti per la riabilitazione, anche psichiatrica. Presieduta da Alberto Piaser, direttore generale della Cir, nel 2007 la Hss ha fatturato 183 milioni di euro, 83 in più rispetto all’anno precedente, anche grazie a nuove acquisizioni.

Maria Laura Garofalo, Raffaele Garofalo & C., Sapa. Maria Laura Garofalo, avvocato, presiede un gruppo da oltre mille posti letto, più di 700 dei quali accreditati al sistema sanitario nazionale (dati 2006).
È la figlia del fondatore, il chirurgo Raffaele Garofalo, specializzato in cardiochirurgia. Una famiglia votata alla medicina, con i due fratelli di Raffaele, Antonio e Mario, rispettivamente ginecologo e urologo. Attivo nel settore delle cliniche fin dagli anni Cinquanta, oggi il gruppo è presente in Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte, e si dedica anche al settore alberghiero di lusso. Tra le strutture più importanti, l’hospice per lungodegenti e malati terminali Sant’Antonio e l’European Hospital, specializzato in cardiochirurgia, entrambi a Roma. Fa capo al gruppo anche Video 1-Telesalute, storica emittente televisiva dedicata alla medicina, che trasmette in Lazio e Toscana. Nel 2007 Sapa ha fatturato circa 350 milioni di euro.

Giampaolo Angelucci, Tosinvest Italia. Diplomato in scienze umanistiche a New York, 36 anni, Giampaolo Angelucci è il figlio di Antonio, ex portantino del San Camillo di Roma ed ex sindacalista che ha fondato un impero imprenditoriale incentrato sulla sanità, con oltre tremila posti letto in 26 strutture tra Lazio, Abruzzo e Puglia. Oggi Antonio è deputato del Partito della Libertà, Giampaolo guida il gruppo di famiglia anche se ha lasciato tutte le cariche dopo essere finito sotto inchiesta e per qualche tempo agli arresti domiciliari. La Procura di Bari lo accusa di aver versato 500mila euro al movimento politico dell’ex presidente della Puglia Raffaele Fitto, ex pupillo di Silvio Berlusconi, in cambio di un appalto da 198 milioni di euro per la gestione di 11 Residenze sanitarie assistite. Angelucci ha ammesso il versamento del denaro ma ha negato l’intento di corrompere Fitto (l’udienza preliminare è fissata il 12 gennaio). La famiglia romana è stata al coinvolta in diversi casi giudiziari, ultimo dei quali la presunta tangentopoli sanitaria abruzzese che ha portato in carcere l’ex governatore Ottaviano Del Turco. L’accusatore di quest’ultimo, l’imprenditore della sanità locale Vincenzo Angelini, cita il San Raffaele di Sulmona come beneficiario di favori in fatto di posti letto accreditati. San Raffaele è un marchio rimasto alla Tosinvest in seguito a un altro affare controverso, quello del San Raffaele di Roma, comprato da don Verzé e subito rivenduto alla Regione Lazio con un guadagno di decine di miliardi di lire. La Tosinvest, inoltre, è azionista di Unicredit e pesa nell’editoria. Controlla il quotidiano Libero, diretto da Vittorio Feltri, e il Riformista di Antonio Polito. Nel 2008 si è offerto di comprare anche l’Unità, di cui in passato deteneva una quota azionaria, ma la redazione si è opposta, aprendo la strada all’arrivo di Renato Soru. Il gruppo Tosinvest, controllato dalla famiglia attraverso una “cassaforte” domiciliata in Lussemburgo, fattura circa 500 milioni di euro, circa 300 dei quali arrivano dal settore sanitario.

Ettore Sansavini, Gruppo Villa Maria spa. Imprenditore con la vocazione della salute, 64 anni, Ettore Sansavini ha diretto la sua prima clinica nel 1973 e oggi guida il Gruppo Villa Maria, con sede a Lugo in provincia di Ravenna. Gvm conta circa 1.700 posti letto in nove regioni italiane (Liguria, Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna, Lazio, Puglia, Sicilia) e all’estero, in Francia, Albania e Polonia. La vocazione iniziale era la cardiochirurgia, ma Sansavini è anche proprietario e presidente delle Terme di Castrocaro. Il Gruppo Villa Maria dichiara di assistere ogni anno oltre 350mila pazienti per un totale di circa 70mila ricoveri e oltre 2 milioni e 200mila prestazioni diagnostiche e ambulatoriali.
Il fatturato 2006 è di 350 milioni di euro.

Gianfelice Rocca, Humanitas Mirasole spa. Rocca, 60 anni, è presidente dello storico gruppo Techint, fondato dal padre Agostino, specializzato in siderurgia ed engineering, molto presente in America Latina. Ricopre numerose cariche nel “salotto buono” del capitalismo italiano: è, tra l’altro, consigliere di amministrazione di Rcs e vicepresidente di Confindustria. La Techint si è buttata nel business sanitario a metà degli anni Novanta, realizzando l’Istituto clinico Humanitas di Rozzano, nell’hinterland milanese, dove a sede la società. L’Humanitas, un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, è la struttura di punta di un gruppo che ha il cuore del business nel sistema sanitario lombardo, ma è presente anche in Piemonte e in Sicilia, per un totale di circa mille posti letto. Nel 2007 ha dichiarato 26.634 ricoveri, il 92% dei quali convenzionati con il Sistema sanitario nazionale, e 1,1 milioni di prestazioni ambulatoriali. Il fatturato è stato di 243 milioni di euro, di cui 166 derivati dall’accreditamento al Ssn.

Il sistema dell’accreditamento garantisce affari d’oro ai privati, ma è spesso al centro di polemiche e, come abbiamo visto, inchieste giudiziarie. “Ci spaventa che il ruolo di controllo sia assunto sempre più spesso dalla magistratura”, riprende Elena Cantù del Cergas. “Dovrebbero essere le Asl a esercitarlo, come può un giudice valutare, per esempio, la necessità o meno di un intervento chirurgico?”. Il sistema che parifica pubblico e privato è stato varato nel 1992 dall’allora ministro Francesco De Lorenzo, ma 16 anni dopo molte Asl non hanno messo in piedi un efficace sistema di controlli e addirittura ci sono “Regioni che non hanno ancora fissato gli standard che le strutture devono rispettare per essere accreditate. Sono inadempienti Campania, Lazio, Liguria, Molise, Puglia, Veneto e la Provincia di Trento”. La truffa ai danni delle casse pubbliche è possibile su due fronti: infliggendo al paziente cure o interventi non necessari, ed è l’accusa rivolta dai pm nel caso della Santa Rita di Milano; oppure soltanto sulla carta, registrando prestazioni più care di quelle erogate. Il bilancio finale di chi osserva la sanità da un tempio della libera impresa come la Bocconi è sorprendente: “Difendiamo a spada tratta il Sistema sanitario nazionale, che deve essere pubblico -scandisce la dottoressa Cantù-. Il privato può integrarlo, ma deve essere controllato e governato”.

La sigla che fa girare i soldi
La parola magica attorno alla quale gira la maggior parte dei soldi della sanità privata è “Drg”. Significa Diagnosis Related Group ed è un sistema che classifica ogni caso clinico in una determinata casella, in base a diagnosi, interventi subiti, cure prescritte, caratteristiche personali. Ogni paziente ricoverato in una struttura accreditata è incasellato in uno degli oltre 500 Drg previsti dal ministero della Sanità (in questo governo assorbito dal Welfare). La relativa tariffa da rimborsare viene fissata invece dalle singole Regioni, spesso con rilevanti disparità. L’arrivo del nuovo sistema, nel 1994, fu una rivoluzione copernicana: prima le strutture private erano incentivate ad allungare al massimo le degenze, visto che venivano pagate secondo i giorni di ricovero; ora l’obiettivo è di minimizzare le degenze e massimizzare i casi trattati. Ogni Regione fissa dei tetti annui: le prestazioni erogate oltre il limite non vengono rimborsate, e spesso sorgono contenziosi. I tetti non riguardano i pazienti provenienti da fuori Regione, un business importante per le strutture del Nord, in particolare della Lombardia.

lunedì 3 maggio 2010

Lettera pubblica al Sindaco

di Giuseppe Marazzini
02.05.2010


Intervengo sulla querelle Rifondazione Comunista e Sindaco per precisare che il gruppo consiliare Sinistra ed Ecologisti Legnanesi di cui sono consigliere non ha avuto nessun ruolo nella vicenda del concerto negato in piazza San Magno lo scorso 24 aprile.
Detto questo mi sento di fare dei rilievi.
Corrispondo il suo disappunto signor Sindaco per essere stato in qualche modo additato come poco democratico e poco sensibile alla cultura resistenziale in quanto credo che Lei sia piu’ antifascista che afascista.
Riguardo, invece, alla vicenda del “concerto negato” la risposta del suo Staff nel negare l’autorizzazione ad un po’ di musica in piazza San Magno è stata un capolavoro di bizantinismo.
Come si fa a vietare una iniziativa senza mai citare la norma che la inibisce. Se esiste una ordinanza sindacale o un regolamento comunale che vieta di suonare e cantare in piazza S. Magno si porti a conoscenza la città, anzi consiglio di mettere dei cartelli informativi in piazza così da evitare spiacevoli equivoci.
In generale sono convinto che la discrezionalità dei pubblici poteri usata senza verificare preventivamente la reale portata delle iniziative pubbliche crea soltanto pasticci, malintesi o prese di posizione discriminanti.
Non nascondo il fatto, e me ne dispiaccio, che Rifondazione Comunista abbia calcato un po’ la mano nell’esprimere giudizi nei suoi confronti, ma le esagerazioni lessicali o comportamentali fanno parte del cosiddetto malumore politico fra chi esprime punti di vista radicalmente diversi.
Le ricordo per esempio, a proposito di malumore politico, che durante la cerimonia del 25 aprile dello scorso anno fu proprio Lei a lasciare piazza S. Magno perché contrariato dal discorso del Presidente dell’ANPI; poi si chiarì il tutto ma la sua reazione ha lasciato il segno.
Bene ha fatto a ricordare nel suo comunicato quanto l’Amministrazione comunale faccia a sostegno delle iniziative dell’ANPI, però mi permetta di farle notare, e non ne abbia a male, che nell’intervento da Lei pronunciato il 25 aprile di quest’anno, ha ricordato i caduti della resistenza di ispirazione cattolica, socialista, liberale e monarchica, ma non i caduti della resistenza comunisti, eppure la sezione dell’ANPI di Legnano è intitolata a Mauro Venegoni un comunista medaglia d’oro al valor militare per aver pagato con la vita la sua opposizione all’oppressore nazifascista.
La verità storica come ben sa, va ben oltre le nostre convinzioni politiche o ideologiche.

La saluto cordialmente
Giuseppe Marazzini