di Giuseppe Marazzini
17.01.2010
1927 Corso sempione, sulla sinistra l'entrata dell'Ospedale civile
A cedere a facili entusiasmi per il Piano di Governo del Territorio (PGT) di Legnano si rischia di prendere delle belle cantonate.
Non si tratta di giudicare il lavoro finora fatto e/o in corso di esecuzione da parte dello staff tecnico incaricato, della cui bravura non si discute (mi auguro soltanto che riescano ad aumentare il verde in città, a ridurre il costo delle case ed a trovare spazi per i giovani), si tratta bensì di fare una sana lettura critica sul piano tecnico e politico di quello che sta emergendo e cercare di scoprire se ci sono le cosidette svolte “epocali”.
Intanto una prima osservazione prima di calarmi nelle questioni legnanesi.
La traslazione dal Piano regolatore generale (PRG) al Piano del governo del territorio (PGT) non avviene attraverso un percorso di rinnovamento legislativo e culturale teso a rendere più efficace ed efficiente il controllo sul territorio. Sì, certo, c’è una legge regionale di riferimento, la n. 12 dell’11 marzo 2005, che cerca di convincerci del contrario, ma questo sbocco legislativo è frutto di un lungo processo di demonizzazione dei piani regolatori comunali (certamente con dei difetti), processo portato avanti dalle lobby fondiarie ed immobiliari, con il concorso di tecnici e di politici di loro emanazione, imputando al PRG di essere uno strumento di pianificazione urbanistica pubblica troppo rigido e penalizzante dei loro interessi.
Sta di fatto che, per riequilibrare la situazione, la Regione Lombardia, negli ultimi 10 anni, ha emesso diverse norme “edilizie” con le quali ha aperto la stagione dei piani attuativi e dei piani di intervento integrati, un sistema a maglie larghe che ha lasciato sempre più spazio all’urbanistica cosiddetta “negoziata” (contrattazione fra pubblico e privato), che ha prodotto un elevato consumo di suolo.
In sintesi, con il PGT viene accantonata la normale attività pubblica di pianificazione (PRG) per passare agli “atti negoziabili con i soggetti interessati” (PGT). Da notare che, quando si parla di “soggetti interessati”, non si tratta del semplice cittadino che deve ampliare la sua casetta, ma di grandi operatori economici in grado, con le loro energie, di “partecipare” alla pianificazione territoriale (vedi ex Cantoni).
Il PGT, ci raccontano i legislatori regionali, sarà uno strumento più agile, più vicino agli interessi della gente, quindi più democratico.
A mio parere non sarà così, perché la modalità della negoziazione privilegia una cerchia ristretta di operatori economici, tagliando fuori la pluralità dei cittadini da ogni processo di controllo, con il rischio reale che la funzione pubblica venga relegata a ruolo di notaio.
Non ci saranno pattuizioni, concertazioni o compensazioni che tengano, con il risultato che i Comuni (sempre più con risorse economiche scarse) saranno comunque perdenti. A Legnano la pluralità dei cittadini sta già subendo. Esselunga docet.
PGT e l’egocentrismo dei Comuni
Credo sia errato fare una lettura Legnano-centrica perché Legnano non diventerà mai, nelle condizioni attuali, la “capitale” dell’Altomilanese.
Il nostro è un territorio dove le città non sono in concertazione per raggiungere degli obiettivi comuni, anzi sono in concorrenza, molte volte sleale.
Se si ha la pazienza di leggere i PGT elaborati dai Comuni limitrofi ci si accorgerà che Legnano non rientra come probabile polo di riferimento futuro per qualsiasi tipo di servizio o attività, al di là dell’ospedale per chi non ce l’ha, o delle future piste ciclabili, o di qualche parco di interesse provinciale.
Anche sul progetto Italferr riguardante il terzo binario non si è raggiunta quella unità di intenti necessaria per aprire un confronto alla pari con gli organi della Regione e dello Stato. Per tutti, i poli di attrazione sono la fiera di Rho e la Malpensa. Non oso immaginare gli scenari futuri.
Il legislatore regionale lombardo nell’emanare il PGT non ha previsto uno strumento di pianificazione omogenea e vincolante fra le diverse città. Viviamo in un contesto in cui occorre prevedere i fabbisogni e ciò in relazione alle attività produttive e commerciali ed alle attrezzature comuni ad ampio bacino di utenza (istruzione superiore, sanità, rifiuti, approvvigionamento idrico, mobilità e trasporti, centri sportivi, ecc.) che non possono essere disseminate nella logica di “uno per ogni comune”.
A furia di correre dietro alle proprie specificità, o fregole di “superiorità”, ed alle esigenze dei grandi potentati economici si è perso di vista l’interesse generale della comunità.
Quindi mi si deve spiegare come si fa o si farà a conservare la base produttiva manifatturiera o eventualmente ad ampliarla se, nè il comune di Legnano, nè gli altri nel bacino del legnanese, hanno uno straccio di piano strategico per dare una svolta definitiva alla crisi industriale che ha colpito il nostro territorio ormai da parecchi anni.
Non parliamo poi degli industriali, soggetti privilegiati del PGT, che chiedono sempre, fanno tanti convegni per consigliare agli altri cosa bisogna fare, per poi andare ognuno per la propria strada. Di coordinamento delle politiche settoriali e di filiera, di ricerca, di innovazione tecnologica vera, di responsabilità sociale, neanche a parlarne.
Una risposta alla crisi dell’industria pare essere quella di trasformare Legnano in città dei servizi alla persona (e potrebbe essere una via d’uscita) ma è uno scenario cha va attentamente studiato, anche perchè non si conoscono nè le ricadute occupazionali (positive o meno), nè la tenuta nel tempo, e poi il terziario è un settore in cui il precariato è sempre dietro l’angolo.
PGT e il consumo di suolo
Il territorio legnanese è considerato ad alto consumo di suolo e ci si sta avvicinando pericolosamente alla soglia di non ritorno.
Nel documento preliminare di VAS (valutazione ambientale strategica) l’elevato consumo di suolo e di grado di impermeabilizzazione del territorio è considerato un punto di debolezza, che fare dunque?
Il buon senso dovrebbe far dire alla nostra amministrazione di invertire la rotta e cominciare a recuperare suolo, ma penso che non sarà così.
Ad andar bene, si tenterà di contenere il consumo di suolo vergine utilizzando le ultime aree dismesse e derogando in altezza (per ora costruzioni fino a 40 metri).
Sono modalità con le quali si cerca di contenere la spinta all’espansionismo territoriale ma, con l’andar del tempo, se non si fissa la quantità di ulteriore edificazione ammissibile in relazione a chiari parametri di necessità sociale, lo sfondamento è assicurato.
Ulteriore elemento di preoccupazione in tal senso è la cartolarizzazione dei beni comunali (vendita di cespiti di proprietà pubblica) decisa per rispettare il patto di stabilità. In cessione ci sono terreni vergini pari a una superficie complessiva di 23.300 mq. per un valore complessivo di base d’asta di quasi 7milioni e mezzo di euro. Questi terreni, una volta ceduti, per disposizioni legislative, diventano immediatamente edificabili e quindi andranno ad implementare il consumo di suolo.
Un dato sul quale riflettere attentamente. Il suolo vergine, in Italia, si perde al ritmo di 110 chilometri quadrati all’anno, pari a 30 ettari al giorno, 200 metri quadrati al minuto. Sono dati contenuti in un resoconto fornito dal Wwf.
A questo punto, perché non fissare un tetto insediativo; Legnano non deve superare i 60 mila abitanti.
PGT e la partecipazione simulata
Le passeggiate pensate per incontrare i cittadini e con loro discutere, anche in modo sommario, sulle funzioni di alcune aree importanti per la città (l’area del castello visconteo, il vecchio ospedale, il bosco dei Ronchi, il lungo Olona, ecc.), per la verità non sono andate così. Le “passeggiate” sono state utili ai tecnici per prendere visione di alcuni aspetti della città poco conosciute e per uno scambio di opinioni tra gli addetti ai lavori.
Poco o niente è stato fatto per facilitare l’incontro fra i singoli cittadini e i tecnici impegnati nella stesura definitiva del documento di piano.
I questionari messi sul sito del Comune e pubblicizzati dalla stampa locale, da consegnare entro il 25 di questo mese, non hanno raggiunto la pluralità dei cittadini.
Si poteva almeno tentare di fare un sondaggio a campione per ogni quartiere, attivando le Consulte nella attività di informazione e supporto ai cittadini, di distribuzione e raccolta dei questionari.
Anche le modalità previste per incontrare i cittadini e il mondo dell’associazionismo, nelle sue più svariate rappresentanze, mi lasciano un po’ perplesso. Alle sedute plenarie previste a febbraio la maggior parte della gente arriverà convinta, non conoscendo la complessità del PGT, che le loro osservazioni o proposte verranno recepite sic et simpliciter dall’amministrazione.
Ho difficoltà a credere che, senza un lavoro preparatorio e di conoscenza, da questi incontri possano uscire delle grandi novità.
Ma, al di là degli aspetti formali, che non vanno mai sottovalutati, ha ragione chi dice che la partecipazione in buona parte è già stata scippata dall’amministrazione comunale. Perché?
Perché a prescindere dal PGT l’amministrazione ha già fatto le sue scelte: nel vecchio ospedale vuole fare la cittadella della fragilità e palazzi; vuole vendere, una volta disponibili, la vecchia biblioteca con parco e la casa di riposo Accorsi; nel rione S.Paolo sono stati vincolati 200mila mq. di terreno vergine a destinazione commerciale ed infrastrutture connesse; nella caserma di viale Cadorna, una volta dismessa, l’amministrazione vorrebbe fare, in accordo con i privati, un centro polisportivo (stadio, palestre, negozi, ecc.); con le stesse modalità vorrebbe fare un centro ippico vicino al castello visconteo; per le aree dismesse disponibili come la ex Gianazza, la ex Riva (recentemente messa all’asta dal tribunale di Busto Arsizio), la ex Bernocchi e diverse altre ha già deciso che saranno destinate ad insediamenti residenziali.
Le aree in attesa di dismissione come la ex Manifattura di Legnano e parte della ex Tosi, verranno inserite in piani di sviluppo residenziale.
Non capisco di quale partecipazione stiamo parlando.
PGT e storia
Legnano, nel periodo antecedente la prima guerra mondiale, era un centro industriale di primaria importanza nazionale, prima nel settore tessile-cotoniero poi nel settore meccanico. Dopo la seconda guerra mondiale, con l’affermazione della Franco Tosi, ha ricevuto anche una apprezzabile attenzione internazionale.
Nelle fabbriche legnanesi, dalle grandi alle piccole, non solo si lavorava, ma si elaboravano e si mettevano in pratica nuove invenzioni tecnologiche.
Un patrimonio di idee, di progetti e di fatica che non può andare disperso.
Gli operai e i tecnici che hanno lavorato presso queste aziende hanno prodotto per molti anni la ricchezza sociale, culturale ed economica di Legnano e sarebbe veramente un peccato non onorare chi ha contribuito a tale processo, ma sarebbe ancor più grave non ricordare alle nuove generazione e ai nuovi cittadini un pezzo di storia della loro città.
Legnano merita un museo di storia dell’industria, della tecnologia, delle scuole professionali e tecniche, del conflitto sociale e lavorativo.
La partecipazione è il sale della democrazia e l’urbanistica richiede molta trasparenza e partecipazione democratica.
Nessun commento:
Posta un commento