07.09.2017
Bisogna sapere da che
parte stare, a proposito di coloro che: "aiutiamoli a casa loro" da
Salvini-Minniti a Renzi
NORD/SUD
STORIA DI UN LAGO, UNA CANNA DA PESCA E UN PESCE
STORIA DI UN LAGO, UNA CANNA DA PESCA E UN PESCE
«Piuttosto che dare un pesce all'affamato, dagli la canna da pesca per
pescarlo», diceva uno slogan della cultura solidarista degli anni Ottanta.
Mi piace, invece, rifare lo slogan: «All'affamato da subito un pesce
per sfamarlo, dagli la canna da pesca per pescare domani, ma soprattutto non
rubargli più il suo lago».
La metafora del lago potrebbe essere anche la metafora della foresta
(e della produzione di legno pregiato per
mobili e pavimenti di legno, i parquet dell'Occidente), oppure la metafora
della terra (e la produzione di manzi
per gli hamburger o di banane, caffè, stagno, rame...)
Questo racconto vuole far comprendere con la testa e con il cuore»,
come solo la narrazione e la metafora riescono a fare, le dinamiche Nord/Sud
che sono dietro la Terra ingiusta, quella Terra dominata dal «drago» e dalla
«bestia», simbolo del male nel libro dell'Apocalisse.
C'era una volta un lago in un
Paese lontano dell'Africa. Questo lago era pescosissimo, pieno di pesci delle
più diverse varietà e grandezze. Intorno al lago abitavano tre diverse tribù,
o meglio nazioni africane, molto diverse tra di loro: la nazione degli alti, la
nazione dei tarchiati e quella dei nani. Vivevano in pace fra di loro e avevano
sviluppato buone relazioni tra la gente comune e fra gli stessi capi e durante
l'anno celebravano anche delle feste insieme.
Non avevano alcun problema di
produzione, che era affidata agli uomini e alle donne e, quindi, non c'erano
conflitti sessuali. Non c'erano problemi di salute, perché l'alimentazione era
proteica e diversificata, e i vecchi continuavano a trasmettere ai giovani la
memoria dei loro saperi alimentari e farmacologici per una vita sana. Insomma,
non c'erano conflitti né tra le nazioni né tra i sessi né tra le generazioni.
Si viveva nella pace e nella giustizia, umana e ambientale.
Un giorno arrivarono quattro
stranieri che erano tra di loro grandi amici, tanto che si facevano chiamare,
un po' per scherzo e un po' per incutere timore, i quattro cavalieri dell'Apocalisse. Furono accolti con grande gioia,
perché le tre nazioni si erano tramandate, di generazione in generazione,
l'importanza dell'accoglienza e dell'ospitalità, che era considerata
addirittura sacra.
Uno degli stranieri era un navigante incallito, aveva guidato lui
la spedizione ed era riuscito, più a naso che a conoscenza, a risalire dal
mare il fiume e dal fiume era arrivato a invadere,
così diceva lui con spirito conquistatore, il lago.
Il secondo era un geografo: scriveva carte, disegnando i
bordi dei monti, dei fiumi e dei laghi, scrivendo numeri su numeri per dirne le
larghezze e le lunghezze e continuava a borbottare, tra un disegno e l'altro,
che «la geografia è una scienza seria, perché serve a fare la guerra»!
Il terzo, invece, era un mercante, che aveva vecchie partite di
grano e di liquori che erano state un affare e ora doveva smerciarle in
mercati non troppo esigenti, «tanto», diceva, «dappertutto c'è fame»!
Il quarto, infine, era una
persona di grande curiosità, lo chiamavano lo
scienziato e sembrava sempre uno che annusava, come i cani, e sezionava e
guardava con grosse lenti dentro ogni creatura del creato, anche uccidendole, pur di vedervi dentro, ma
lui scherzando diceva che «la scienza è proprio come l'albero della vita e
della morte»!
La buona accoglienza ricevuta,
soprattutto quella delle ragazze, li confortò molto, visto che erano mesi che
stavano navigando.
Quando decisero di riprendere la
navigazione, lasciarono apparentemente soltanto i loro rifiuti, ma qualche mese
dopo, anche qualche bambino e ... ancora, dopo poco, qualche strana malattia
alle donne, che cominciarono a morire, e malattie con punti rossi ai bambini e
anch'essi cominciarono a morire.
Ma la notizia del grande,
bellissimo e pescosissimo lago, con i suoi strani abitanti mezzi svestiti e
molto accoglienti e liberali arrivò ben presto nelle città dei quattro
stranieri.
Un signore, nella grande città
dove abitava il geografo, afferrò subito il grande affare che avrebbe fatto,
lui che era proprietario della più grande flotta di pescherecci per la
produzione di pesce, visto che i diritti sindacali lì nel suo Paese stavano
riducendo i suoi profitti e visto che la richiesta di pesce aumentava, perché
sempre più i bisogni alimentari della gente della città crescevano. E trasferì
su due piedi il suo direttore di produzione sul grande lago, perché
trasformasse quei selvaggi in buoni
operai per produrre pesce in maggiore quantità e a costi inferiori. Detto
fatto.
E poiché erano selvaggi, al direttore del peschereccio
si aggregarono dei religiosi per far diventare quei selvaggi un po' più civili e spirituali, visto che erano anche un
po' troppo libertini!
Gli abitanti delle tre
nazioni-tribù, che vivevano intorno al lago, speravano anche di poter comprare
cose buone dal mercante. Le donne speravano di comprare grano già macinato, gli
uomini, invece, desideravano più liquori; così si trasformarono in operai
salariati «a posto fisso e salario assicurato», senza neanche che i capi,
all'uopo ingraziati con regali e soldi dal direttore del peschereccio,
avessero avuto bisogno di fare grande opera di persuasione.
Dopo un anno si presentarono
altri direttori con altri pescherecci di altre nazioni e fu allora che le
famiglie, ormai certe di essere diventate anche loro un «Paese Industrializzato
e Moderno» decisero di andare a vendere le loro barche, le lenze e le
attrezzature per la conservazione del pesce alla gente di altri villaggi sul
fiume, visto che loro non ne avevano più bisogno, ora che erano diventati
operai salariati. Invece avevano bisogno di comprare le molte cose che erano
esposte, in bella mostra, nello spaccio che íl primo direttore aveva messo a
fianco al fabbricato della lavorazione del pesce e che venivano direttamente
dalla città e dalla nazione ricca del direttore.
Dopo due anni cominciò a
circolare la voce che era calata la produzione, ora bisognava aspettare che i
pesci piccoli crescessero e, quindi, diminuiva la quantità di pescato. I vecchi
del villaggio si permisero di sorridere malinconicamente, reprimendo sulle
proprie labbra un «Ve l'avevo detto che
non si può abusare di madre terra! »
L'impoverimento del patrimonio
ittico, argomento discusso nelle Conferenze internazionali, qui diventava un
reale e concreto problema ambientale.
Nel Paese del primo direttore si
aggiunsero, poi, le difficoltà finanziarie, e intorno al lago cominciarono a
sentirsi parole curiose come inflazione, borsa, oneri fiscali, parole che gli
ex pescatori, ora diventati operai, pronunciavano un po' con sussiego e un po'
con timore, comprendendo ben poco del loro significato, ma intuendone i legami
con la propria sicurezza lavorativa. Già un mese dopo la circolazione di queste
strane parole, quando andarono a ritirare la paga, si trovarono pagati con ...
un buono su cui era dato il permesso al magazziniere di consegnare loro trenta
chili di teste di pesce (di vario
taglio e qualità, certo!) come equivalente (all'attuale tasso di cambio,
certo!) della loro paga mensile.
Loro, che erano pescatori e
avevano mangiato sempre i pesci, ora erano costretti a mangiar teste di pesce,
per di più dopo essersi abituati ai cibi importati, come latte in polvere,
pane, biscotti e ... anche liquorini!
Fecero riunioni su riunioni,
nominarono dei capi per mandarli a parlamentare col direttore, ma non vennero
a capo di niente, anzi, dopo sei mesi cominciarono a esser licenziati e i
primi furono proprio i capi e gli operai più turbolenti.
In capo a un anno la prima
fabbrica chiuse i battenti e il pescherecci) grande e imponente risalì il fiume
e riprese il mare. Alcuni pescherecci e piccole fabbriche rimasero ancora, ma
licenziarono gli operai uomini e al loro posto assunsero prima le donne, per
pagarle di meno, e poi i bambini, per pagarli ancor meno. Ovviamente i bambini
non potevano più andare a scuola.
Ai bambini più piccoli
cominciarono ben presto a comparire i ventri gonfi, molti neonati morirono per
una stupida diarrea, a causa del latte in polvere, abbondantemente diluito con
acqua sporca; poi si ammalarono le donne, quindi i vecchi cominciarono a
essere trattati brutalmente: erano bocche in più da sfamare...; poi i padri,
ora mantenuti dai loro figli di dieci-dodici anni, che lavoravano al posto
loro nelle fabbrichette, cominciarono a sentirsi dei vermi, perché si facevano
mantenere da mogli e figli e... cominciarono a bere, a battere mogli e figli e
a dimostrare la propria virilità con altre donne.
Questo clima di impoverimento e
di rottura delle relazioni sociali avveniva, naturalmente, all'interno delle
tre nazioni-tribù.
Quando poi si incontrarono le
tribù diverse, allora incominciarono a guardarsi in cagnesco, costretti
com'erano non solo a far lavorare mogli e figli, ma anche a pescare in
quell'unico angolo di lago che dai capi tribù non era stato dato in concessione
agli stranieri per cento anni (dietro laute mazzette ovviamente e con tanto di
carta scritta, ovviamente!)
Delle divisioni e delle liti, che
ormai intorno al lago erano sempre più frequenti e sanguinarie, vennero ben
presto a sapere i fabbricanti d'armi dei Paesi che avevano già mandato i
pescherecci. Ai grandi mercanti di armi dei Paesi stranieri non sembrava vero
di poter smerciare lì, sul lago africano, un po' di armi obsolete e vecchie, un
po' di invenduto di magazzino, visto che ora la tecnologia aveva fatto passi
da gigante in quel settore.
Mandarono degli esperti in public relations che, con la scusa di
fare mediazioni fra le tre tribù-nazioni, fomentarono ancor più odi e
vendette, con il nobile scopo, dicevano loro, di «fare giustizia finalmente!».
Vendettero così le armi che erano rimaste come fondi di magazzino, armi ormai
obsolete per delle vere guerre moderne, anche se ancora buone per quei
selvaggi sempre in guerra tra di loro», così litigiosi, dicevano, e così
incivili!
Si massacrarono. Fu una
carneficina. I grandi capi delle grandi nazioni del mondo fecero riunioni,
risoluzioni, e poi ancora riunioni, per affermare che c'era il principio di non
ingerenza, c'era da rispettare la loro autodeterminazione
e sovranità! Altri si appellarono a quello dell'ingerenza umanitaria...
Morirono in migliaia, moltissimi
sfollarono nei villaggi vicini, dove furono ammassati in campi profughi e si
chiamarono le istituzioni internazionali per gestire la situazione con gli «aiuti
umanitari»!
Pochi, i più fortunati,
riuscirono a scappare e a emigrare nella grande nazione del primo direttore
della fabbrica di pesce.
Lì, quelli che riuscirono a
entrare — avevano da poco chiuso le frontiere con un trattato che li garantiva
dalle invasioni degli stranieri — furono ricevuti con diffidenza, con sospetto
e li misero di nuovo in un campo per sfollati. Fino al rimpatrio!
E lì, nei container o nei recinti
delle prefetture, chiusi con reti metalliche, riflettevano e ricordavano il
loro grande lago con le loro ricchezze e sognavano di...
No! Non sognavano ormai che di
morire!
Racconto tratto dal libro “il
drago e l’agnello” di Giuliana Martirani – Ed. Paoline 2001
Il Fatto Quotidiano del 5 settembre 2017
politici dal cuore di pietra
La doppia morte di Giulio Regeni from GMarazzini
Il Presidente della
Repubblica e i ministri che hanno giurato sulla Costituzione continuano a
pontificare sul rispetto dei diritti umani, da cittadino italiano mi vergogno
al posto loro!
Nessun commento:
Posta un commento