16.03.2013

Gli analisti economici dicono che
l’Altomilanese è ancora prevalentemente a vocazione industriale manifatturiera:
se è così, allora si batta un colpo, si rilanci questa vocazione, e i Sindaci,
gli industriali e le forze sociali e politiche si impegnino a fare ciò. Che il confronto cominci subito perché
il tempo stringe. È ragionevole consumare 300mila metri
quadrati di suolo, attualmente agricolo, che potrebbe essere maggiormente
valorizzato (produzione agricola biologica e dinamica di vicinato), per metterci uno scatolone di cemento armato
circondato da nuove strade e da migliaia e migliaia di auto? Non è più
ragionevole risollevare le sorti della Franco Tosi rinnovando le produzioni e
facendo ripartire la ricerca sulle fonti rinnovabili? Oppure, non è più
ragionevole predisporre un piano
energetico sovra-comunale mettendo a capofila le aziende del “cluster”
territoriale?
Sul nostro territorio si costruiscono impianti per produrre e distribuire energia elettrica, orologi atomici e pannelli solari, che fanno funzionare satelliti e sonde spaziali, allora un’alternativa ad Ikea è possibile. Basta volerlo! Sappiamo che gli attori non recitano tutti nello stesso modo. A mio parere, solo una minoranza di imprenditori fa il suo mestiere, investendo e innovando; solo una minoranza di politici combatte contro il declino industriale; solo una minoranza della società civile reagisce alla feroce austerità economica imposta, ma ciò non preclude che si possa lo stesso girare il film di un concreto rilancio territoriale. L’Altomilanese ha bisogno di posti di lavoro qualificati, professionalizzati e certi.
Non bisogna piegare la testa alle
allettanti offerte Ikea, perché il suo modello, apparentemente moderno, non è
che un’altra faccia della mercificazione della qualità della vita, così come
non è accettabile la cementificazione di una grande area agricola per
soddisfare l’ampliamento del proprio impero commerciale. Non voglio negare il diritto di impresa
ad Ikea, ma questo diritto lo deve esercitare senza fare violenza al nostro
territorio. Se vuole primeggiare come impresa
rispettosa dell’ambiente e della qualità della vita, come spiega nella sua
brochure, allora rispetti la regola del “suolo come bene comune” e, quindi,
trasferisca il suo scatolone su un’area industriale o commerciale dismessa o in
disuso.
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