23.12.2014
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23/12/2014 - IL COMMENTO DI UN LETTORE A QUESTO POST:
Caro Giuseppe questo è l'ennesimo motivo per il quale mando al diavolo il pd. Io nella vita faccio l'imprenditore e il pensare che per creare occupazione bisogna togliere diritti acquisiti è una bestemmia. Sentire nelle sezioni pd persone che si dichiarano orgogliosamente comunisti e poi ingoiano ogni cosa pur di conservare la loro poltrona è cosa di una tristezza infinita. Giusto per non fare nomi mi riferisco per esempio all'ill. presidente del consiglio comunale Ferrazzano al quale auguro di provare sulla sua pelle la mancata tutela dell'art.18. D'altronde per un partito ormai di destra che fa suo il documento sul lavoro redatto da Confindustria questa è ordinaria amministrazione. Se è vero che quando tradiamo la fiducia di chi ha speso la propria vita per certi ideali li facciamo girare nella tomba, nel cimitero dove è sepolto, il compagno Enrico Berlinguer lo chiamano ormai la trottola.
Massimo Rodio
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Il sindaco di Legnano Alberto Centinaio ha dichiarato a suo tempo in una
intervista, essendo lui un imprenditore, che l’art. 18 andrebbe abolito. Siamo ancora in attesa di un commento da
parte della CGIL e del PD legnanesi, su questa dichiarazione.
Nove segretari del PD contro il Jobs Act
I segretari del Partito
Democratico di diversi comuni della provincia hanno diffuso una lettera per
criticare il jobs act: “Dignità del lavoro ed uguaglianza devono essere temi
inalienabili per un partito di centrosinistra quale è il nostro. Ma nella
riforma approvata si vedono ben poco"
Porta la firma di nove segretari del PD - da Busto
Arsizio a Sumirago, da Sesto Calende a Brebbia - la lettera inviata alla segretaria
provinciale per criticare le scelte
fatte in tema di lavoro dal governo. Una lettera scritta a titolo personale
dai rappresentanti locali per spiegare che "dignità del lavoro ed
uguaglianza devono essere temi inalienabili per un partito di centrosinistra
quale è il nostro. Ma nella riforma approvata si vedono ben poco". Ecco il
testo integrale della missiva.
Il Jobs Act è stato approvato,
ma la nostra valutazione non è positiva. In attesa dei decreti attuativi vi spieghiamo
le ragioni del nostro giudizio, le prime più economiche, le seconde relative
alla visione e al ruolo che vogliamo il lavoro assuma nella società. Partiamo
da un fatto: riformare il mercato del lavoro era necessario. Ma se il fine era
sostenere l’incremento dell’occupazione, allora siamo molto lontani
dall’obiettivo. C’è pressoché unanimità tra gli esperti (anche fra quelli
favorevoli alla riforma) nel dire che il Jobs Act non aumenterà i posti di
lavoro. La tesi generale è che, grazie agli sgravi fiscali, servirà a trasformare
alcuni contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Questo
è vero. Più contratti a tempo indeterminato, dunque, ma dopo la fase in cui
saranno inizialmente convenienti che cosa succedera’? Accadrà che i
costi per le imprese aumenteranno e queste saranno tentate di usare la
flessibilità che gli è concessa (esattamente come ora) per licenziare. Tanto
più che per il licenziamento economico non è previsto il reintegro del
lavoratore. Ma prevedere, come fa questa riforma, il reintegro per il licenziamento
discriminatorio e non per quello economico è come chiudere il cancello e
lasciare un grande buco nella rete di recinzione.
C'è poi un effetto ancora più
grave: i lavoratori perderanno potere contrattuale e le rivendicazioni salariali
saranno più difficili, il tutto a parità di disoccupazione. Dunque, difficoltà
di rivendicazione e alta disoccupazione: il risultato sarà una politica di
contenimento salariale, che significa stipendi più bassi. Ma non è solo questa
parte della riforma a preoccupare. Infatti, della tanto sbandierata flexicurity
nel Jobs Act si vede solo la flessibilità, mentre la sicurezza è lontana dal manifestarsi.
La riforma non affronta i nodi legati al contrasto alla precarietà perché
lascia in piedi il decreto che liberalizza i contratti a termine e i voucher,
andando a cancellare solo le collaborazioni a progetto, ormai già scarsamente
utilizzate perché poco convenienti. Inoltre non stanzia risorse per migliorare
scopi e funzioni dei centri per l’impiego, altro aspetto che sarebbe stato
doveroso affrontare. E poi c'è un effetto perverso, ma poco considerato: il
lavoratore a tempo indeterminato (quindi al momento garantito dall’art.18) sarà
disincentivato a cambiare impiego perché nel farlo perderebbe la tutela di cui
gode. Insomma, noi vediamo una riforma che mira alla flessibilità e che però
rischia di ingessare il mercato del lavoro perpetrando il dualismo tra
garantiti e non.
Il segno complessivo del Jobs Act è infatti quello di un passo
indietro, nei diritti del lavoro e nella sua dignità. Al posto di valorizzare
le competenze e i dipendenti, si spingono le imprese ad abbassare condizioni lavorative
e compensi nella vana speranza di far ripartire un’economia che arranca. Al
posto di regole più giuste e più certe, che spingano verso l'altro una
produttività in caduta libera e invoglino di nuovo gli imprenditori a
investire, noi vediamo competizione basata sul costo del lavoro in un mondo
dove ci sarà sempre qualcuno disposto fare lo stesso mestiere ma a un prezzo più
basso. Insomma, una riforma ben fatta avrebbe dovuto puntare sul lavoro di
qualità, incentivando gli investimenti in innovazione e formazione. Avrebbe
dovuto disboscare per davvero la giungla del precariato e pensare e mettere in
atto strumenti che tutelino chi è senza lavoro. Ma anche ripensare le vecchie
politiche economiche che sono risultate sbagliate in Italia come in Europa. Dignità
del lavoro ed uguaglianza devono essere temi inalienabili per un partito di centrosinistra
quale è il nostro. Ma nella riforma approvata si vedono ben poco. Per questi
motivi esprimiamo il nostro personale dissenso:
Giorgio Maran (Daverio)
Stefano Catone (Solbiate
Olona)
Salvatore Vita (Busto Arsizio)
Andrea Morosi (Brebbia)
Massimiliano Bassotto (Caronno
Varesino)
Alessandro Zoccarato (Ferno)
Manuela Stella (Sesto Calende)
Danilo Tibiletti (Sumirago)
Guido Della Canonica (Lonate
Ceppino)
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