di Giuseppe Marazzini
23.03.2017
CHI DECIDE LA CITTÀ?
L’URBANISTA, I CITTADINI, O TUTTI E DUE INSIEME?
Qualcuno ha creduto
che l’amministrazione guidata da Alberto Centinaio sarebbe stata di un tipo
nuovo di centrosinistra urbano, con forti tendenze a sinistra. Invece no: tanti
fatti hanno smentito le cose. Abbiamo verificato che questa amministrazione, al
contrario, è stata invece apportatrice di pensieri e pratiche che potrebbero
appartenere a un qualsiasi tipo di moderatismo. Nei tre giorni di
discussione in Consiglio Comunale sul PGT è apparso evidente che
l’amministrazione è stata più attenta alle domande dei “dominatori” della città,
ovvero i finanzieri, le corporazioni commerciali, gli imprenditori e gli impresari
edili, piuttosto che ai veri interessi dei cittadini e alla qualità della loro
vita.
Appare anche evidente
che il metodo adottato per adeguare o formulare un nuovo PGT mediante un
linguaggio infarcito da una miriade di tecnicismi incomprensibili non funziona
più, tanto che, per rimediare al bizantinismo di parecchi articoli del piano
delle regole, si è ricorsi all’ausilio di un tecnico esterno per spiegare
numerose norme tecniche mediante la presentazione di osservazioni specifiche.
È palese che parte del
confronto che riguarda il futuro urbanistico di importanti aree delle città
deve essere portato fuori dal palazzo. La
realizzazione di importanti interventi non può essere oggetto di negoziazione
esclusiva tra gli operatori, i tecnici comunali e la giunta comunale. Alcuni
emendamenti miranti al coinvolgimento della commissione territorio sono stati
bocciati dallo "staff urbanistico", perché ritenuti nocivi alla
procedura.
Anche lo strumento del
“Masterplan” non è adeguato senza il coinvolgimento dei cittadini. Per misurare
la bontà di un piano di trasformazione e di sviluppo di grande impatto
urbanistico, oltre a quanto previsto dall’iter ordinario, bisogna, a scopo
precauzionale, aumentare gli indicatori di valutazione, ad esempio quelli
economico-sociali, ecologico-ambientali, antropologici, sociologici e
tecnologici, che di norma per gli uffici tecnici sono elementi marginali.
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ARCIPELAGOMILANO - Settimanale
milanese di politica e cultura
N. 09 - ANNO IX - 8 marzo 2017
L’URBANISTICA “MILANESE” NON
DECOLLA ANCORA
Mescolare documenti di programma
a norme prescrittive è un errore
by Luca Beltrami Gadola
Stanno per scadere i termini per
dare suggerimenti e fare proposte per il nuovo assetto della città. Il
“tormentone” della politica ha nel suo frullino tante parole e tra le tante
“partecipazione” ha il primato assoluto. Non c’è testo politico che almeno una
volta non la contenga ma spesso il documento stesso la contraddice, la si
chiede ma non la si sa gestire: è il caso della delibera di indirizzo per la
nuova stesura del nuovo Piano di Governo del Territorio del 29/12/2016.
A questo proposito il 25 gennaio
scorso, in perfetto stile burocratico come si conviene, il Comune avverte i
cittadini ”che chiunque abbia interesse, anche per la tutela degli interessi
diffusi, può presentare suggerimenti e proposte entro e non oltre le ore 12,00
del giorno 27.3.2017.”. Il tutto ovviamente non a casaccio ma con riferimento
alla delibera di indirizzo della quale stiamo parlando nella quale si fa cenno
alle “Linee programmatiche che muoveranno l’iniziativa amministrativa nel
prossimo quinquennio” che ovviamente sono quelle della delibera di insediamento
del nuovo Consiglio comunale del 7 luglio del 2016.
Quest’ultima delibera indicava i
7 “valori” che avrebbero ispirato l’attività amministrativa – I valori che ci
guidano – e le Dieci occasioni per rendere concreta la nostra visione della
città. Detto tra di noi, nella delibera
di insediamento manca un allegato fondamentale dal titolo appunto “visione
della città”. L’araba fenice. Ogni tanto bisognerebbe andarsi a rileggere
questi documenti per valutare il percorso fatto e quello ancora da fare e
mentre noto che il Post Expo è il primo dei dieci punti, al secondo posto
troviamo Area Vasta – leggasi Città Metropolitana -, decentramento e
partecipazione e vi si parla di più di Area Metropolitana di quanto si ritrovi
poi nella delibera di indirizzo relativa al PGT. Sarà un caso. Nello stesso titolo ecco
comparire la famosa parola ”partecipazione”.
Qui vorrei chiarire che la
partecipazione si ha rispettando tre criteri fondamentali: l’obiettivo che si
vuole raggiungere, la reale possibilità di svolgere il ruolo richiesto e
l’utilità per chi la sollecita. Di questi tre obbiettivi solo il primo mi
sembra presente: adempiere a una norma di legge che indica la necessità di una
consultazione dei cittadini come prima fase del percorso di stesura di un PGT.
Gli altri due sono assenti per due ragioni: per la confusione tra obiettivi e
strumenti e la difficoltà per chi lo volesse di presentare suggerimenti e
proposte.
Intanto forse bisognerebbe capire
qual è lo scopo primo del PGT: dovrebbe essere solo un documento di regole e
non di intenzioni o di programmi. Chiunque intenda intervenire nel modificare
la realtà fisica del territorio urbano deve conoscere a quali norme deve
sottostare. Le norme devono essere chiare, di facile interpretazione, alla
portata degli operatori, riducendo al minimo il margine di interpretazione –
per ridurre la discrezionalità di chi presiede alla loro osservanza – e non
devono contenere alcuna indicazione sulle “ragioni” che ne ha portato alla
formulazione.
Sulla riduzione al minimo del
margine di interpretazione il perché è ovvio, meno corruzione, meno avvocati,
più snellezza nelle pratiche. Sul non indicare le “ragioni” la questione è di
analogo tenore: se in una norma o in una legge inserisco anche – inutilmente –
le sue ragioni d’essere offro spiragli di controversie legate alle “ragioni”
stesse. La legge regionale N°12 dell’11 marzo 2005 già commette questo errore
prevedendo il Documento di piano come uno dei tre documenti che formano il
Piano di Governo del territorio.
Venendo alla delibera di
indirizzo, è un documento pasticciato e già la suddivisione in capitoli –
Attrattività e inclusione, Rigenerazione urbana, Resilienza, Qualità degli
spazi e dei servizi per rilanciare le periferia, Semplificazione e
partecipazione – che sembra soprattutto avere più attenzione agli attuali
slogan della politica che non alla funzione di un Piano di governo del
Territorio. Se di capitoli si voleva parlare,
meglio e più chiaro sarebbe stato far riferimento a tre atti distinti previsti
dalla legge: Documento di Piano, Piano dei servizi e Piano delle Regole,
considerato tra l’altro che il Documento di Piano, quello più politico e che
contravviene a quanto ha detto in merito alle “ragioni”, non è prescrittivo,
non detta norme.
Il “suggerimento” o la “proposta”
se si vogliono fare, come chiede il Comune, è una sola: rifare il documento di
indirizzo, farlo meglio, distinguere se si riesce tra attese, auspici,
indicazioni procedurali e accenni normativi oppure i cittadini coinvolti non
capiranno in che modo rispondere all’appello del Comune.
Una considerazione. L’ultimo
capoverso del capitolo I valori che ci guidano del documento Linee di
indirizzo, parla di “capacità di leggere i bisogni”.
Forse dunque, come preambolo di un documento
di indirizzo, ci sarebbero volute alcune più larghe considerazioni di sindaco e
Giunta su desideri, bisogni e diritti dei cittadini, che dovrebbero ben
conoscere, indicando le priorità proposte, confrontate con le opportunità e le
risorse.
Due questioni aperte dunque:
tecnica legislativa, e politica urbanistica. Urbanistica modello Milano?
Pragmatismo, magari.
Luca Beltrami Gadola
Il Sole 24Ore – Edilizia e
Territorio
6 marzo 2013
Marco Ardielli: Il masterplan
è la garanzia tra previsioni urbanistiche e sviluppo architettonico
di Paola Pierotti
"Il masterplan è uno
strumento informale, non regolato da norme, in grado di esprimere e manifestare
in modo tangibile un'idea condivisa di città. È uno strumento-processo capace
di porsi come garanzia tra le previsioni urbanistiche e lo sviluppo
architettonico, tra fase attuativa e realizzativa, tra piano e progetto"
così Marco Ardielli, architetto fondatore dello studio veronese Ardielli
Associati, esplicita il contenuto del volume della collana ‘Parole chiave' di
Inu Edizioni (presentato a Verona il 6 marzo 2013).
"A maggior ragione in questo
periodo di crisi, serve investire in una cultura capace di regolare le scelte,
puntando su una ricerca di qualità". Marco Ardielli ha raccolto e
raccontato alcuni casi-studio scelti in un'area geografica omogenea, quella del
lago di Garda, nel territorio veronese (Bardolino, Negrar, San Martino Buon
Albergo, Villafranca) oltre a Santo Stefano di Magra in Liguria. Obiettivo?
Spiegare come operatori privati e amministrazioni pubbliche abbiano saputo far
dialogare i diversi attori della trasformazione urbana, ottenendo il consenso
della popolazione, proprio attraverso lo strumento del masterplan, riportando
l'attenzione sulla forma fisica della città e del paesaggio.
È l'Istituto Nazionale di
Urbanistica (Inu) a sottoporre ad una riflessione collettiva l'efficacia di uno
strumento operativo, non normato in Italia, ma scelto da Comuni e dai privati
per definire strategie e indirizzi a scala urbana. Una soluzione che
"prende le distanze da una prassi urbanistica troppo spesso appiattita sul
tecnicismo normativo – dice Ardielli – ma anche da un'idea di architettura
autonoma e autoreferenziale". Il masterplan è quello strumento progettuale
lontano dal progetto edilizio e della pianificazione urbanistica, è una
soluzione innovativa che parla delle tre dimensioni del progetto, senza
tralasciare la quarta, quella del tempo. "Il masterplan – scrive Marisa
Fantin, Inu Veneto, nell'introduzione del volume – recupera la cultura della
rappresentazione, torna ad occuparsi delle regole del disegno e della
restituzione grafica, troppo spesso dimenticate dall'uso dei computer che
lavorano sulla scala assoluta. Entra in gioco il contatto con i cittadini, si
acquisisce la conoscenza emotiva dei luoghi, fatta di sensazioni e di
pratiche".
Lo studio guidato da Marco
Ardielli e Paola Fornasa ha lavorato per una decina d'anni affinando questo
strumento con l'obiettivo di far apprezzare ai committenti non solo quanto un
progetto sia bello o giusto, ma quanto sia in capace di riflettere le
opportunità di un luogo e di ragionare sulla propria realizzabilità. "Tour
operator e banche si avvalgono di questo strumento – dice Marco Ardielli – per
valutare possibili investimenti e si rendono conto che la cubatura non è solo
un problema architettonico". Comunicando con codici chiari, il masterplan
si sta affermando anche come uno strumento facilmente comprensibile dai
politici e anche dalla comunità, sempre più spesso invitata a conoscere e
discutere il piano attraverso la rete. "L'urbanistica – commenta Ardielli
– deve cambiare linguaggio, altrimenti viene relegata ai soli tecnici.
Inevitabilmente se la comunità non capisce cosa succede, non può condividere le
scelte strategiche. Negli ultimi lavori che abbiamo sviluppato, abbiamo
abbandonato la rappresentazione in due dimensioni, stiamo usando i video e
tutte le analisi fisiche le riportiamo in realtà aumentata per facilitare al
massimo la lettura".
Il masterplan è una novità solo
per l'Italia che non ha normato questo strumento urbanistico. Un'opportunità
per descrivere e rappresentare le trasformazioni della città, "andando
oltre le norme e i retini - come dice Ardielli – un modo alternativo per
parlare di urbanistica non solo a livello economico ma anche fisico, che
consente a imprenditori e politici di misurare il rischio e le potenzialità di
qualsiasi scelta". Il masterplan viene quindi proposto dallo stesso
Istituto di Urbanistica come strumento capace di dare simultaneamente una
risposta urbanistica, economica e di appetibilità del mercato.