“QUANDO IL LAVORO UCCIDE”
(scheda preparata da Giuseppe Marazzini di Medicina Democratica)
OMICIDI “BIANCHI” O OMICIDI DEL LAVORO. SOLO QUESTIONE DI TERMINI?
All’interno del movimento operaio a partire dagli anni ‘60 si è diffuso il termine omicidi del lavoro per indicare con nettezza la responsabilità diretta dei sistemi di produzione. Negli ultimi anni sulla stampa e in generale il linguaggio dei media, linguaggio assimilato anche all’interno del movimento operaio e sindacale, per definire il fenomeno sono stati utilizzati i termini morti bianche e omicidi bianchi dove l’uso dell’aggettivo “bianco” allude all’assenza di una mano direttamente responsabile degli eventi infortunistici in particolare quelli mortali. Il modus operandi della nostra società è quello di veicolare nell’opinione pubblica che gli eventi mortali sui luoghi di lavoro avvengono per fatalità o per un destino infame, nella stragrande maggioranza dei casi, invece, si è riusciti a dimostrare una diretta responsabilità aziendale.
……”UNA LUNGA E INTERMINABILE SCIA DI MORTI ”…...Alle 20.00 di oggi 13 novembre 2009 gli omicidi del lavoro sono 912.
MORTI SUL LAVORO NEGLI ANNI PRECEDENTI.
1997 (1392, in itinere 104, con una percentuale del 7,5%)
1998 (1442, in itinere 104, con una percentuale del 7,2%)
1999 (1393, in itinere 102, con una percentuale del 7,3%)
2000 (1401, in itinere 53, con una percentuale del 3,8%)
2001 (1546, in itinere 296, con una percentuale del 19.1%)
2002 (1478, in itinere 396, con una percentuale del 26,8%)
2003 (1445, in itinere 358, con una percentuale del 24,8%)
2004 (1328, in itinere 305, con una percentuale del 23%)
2005 (1280, in itinere 279, con una percentuale del 21,8%)
2006 (1341, in itinere 266, con una percentuale del 19,8%)
2007 (1207, in itinere 304, con una percentuale del 24,8%)
2008 (1120, in itinere 276, con una percentuale del 24,6%)
(dati elaborati su fonte INAIL, da questo calcolo sono escluse le morti da imputare al lavoro sommerso e/o in “nero”. Nel 2006 l’INAIL ha stimato circa 175 mila infortuni “invisibili”)
PRINCIPALI LEGGI E NORME IN VIGORE NEL PERIODO PRESO IN CONSIDERAZIONE:
Costituzione della Repubblica. Artt. 32, 1° comma (tutela della salute, come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività); 41 (l’attività economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza); 42, 2° comma (funzione sociale della produzione); 46 (elevazione economica e sociale del lavoro).
D.P.R. del 27.4.1955 n.547; D.P.R. del 19.3.1956 n.303.
Statuto dei Lavoratori (legge 20.5.1970 n.300). Art. 9 “I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.
Decreto legislativo 626/1994, la cosidetta “626”.
Decreto legislativo del 9 aprile 2008 n.81 (governo Prodi), integrato e corretto con decreto legislativo n.106 del 3.8.2009 (governo Berlusconi).
In merito alle modifiche apportate al decreto n.81 dal governo Berlusconi, si riporta un sintetica valutazione del senatore del PD Casson (già Pubblico Ministero nel processo Eni-Montedison per la morte di decine di operai esposti al CLORURO DI VINILE presso gli impianti di Porto Marghera. Nel processo Medicina Democratica si era costituita parte civile): “È aberrante lo svuotamento, o meglio l’azzeramento, delle responsabilità del datore di lavoro anche in presenza di una sua condotta omissiva. Ciò significa il venir meno per i datori di lavoro del ruolo di garanti della vita e della incolumità fisica dei lavoratori, nonché l’obbligo di controllo e del dovere di vigilanza fino a questo momento mai messi in discussione”.
Nella storia del movimento operaio italiano ed internazionale si riscontrano decine e decine di eventi infortunistici che hanno causato la morte di molti operai, eccone alcuni:
- Traforo del Freyus, 1857-1871 (200 morti)
- Disastro minerario di Monongah (USA), 6.12.1907 (350 morti di cui 171 italiani)
- Traforo del Sempione, 1879-1906 (106 morti)
- Disastro minerario di Dawson (USA), 21.10.1913 (263 morti di cui 141 italiani)
- Sempre a Dawson, 8.12.1923 (123 morti di cui 20 italiani)
- Disastro minerario di Marcinelle (Belgio), 8.8.1951 (262 morti di cui 136 italiani)
- Disastro minerario di Ribolla (Italia-Toscana), 4.5.1954 (43 morti)
- Traforo del S.Gottardo, 1970-1980 (19 morti fra italiani, turchi e austriaci)
- Cantieri navali di Ravenna, 13.3.1987 (13 morti)
- Caivano (Napoli), 13.4.2003 scoppio di un serbatoio di azoto (4 morti)
- Campello sul Clitunno (Perugia), 25.11.2006 scoppio di un serbatoi (4 morti)
- Fossano (Cuneo), 16.7.2007 scoppio di un silos (5 morti)
- Torino, 5.12.2007 incendio alla ThyssenKrupp (7 morti)
- Molfetta (Bari), 4.3.2008 esalazioni tossiche da autocisterna (5 morti)
Chi lavora in fabbrica, nei cantieri navali, nei cantieri edili, nell’agricoltura, nei laboratori, nei trasporti, nella sanità od impegnato in altre attività lavorative subordinate o artigianali, non muore esclusivamente per eventi infortunistici violenti; molti lavoratrici e lavoratori muoiono a causa delle malattie professionali.
Nel mese di ottobre 2009, in occasione del suo 60esimo anniversario l’INAS-CISL - secondo una sua stima – ha denunciato che i morti sul lavoro in Italia sarebbero 10.000 ogni anno. “I dati ufficiali sono sotto stimati perché non si considerano gli effetti delle malattie professionali”. Sempre secondo l’INAS , sono “oltre 300 mila i lavoratori a rischio cancro in molte produzioni, soprattutto nelle costruzioni…” secondo il patronato della CISL , “ai 1200 morti denunciati quest’anno nel rapporto INAIL se ne aggiungono altri 8800 circa non evidenziati. Queste cifre sono difficilmente contestabili” e rappresentano “una stima abbastanza generosa”, ha affermato il presidente dell’INAS-CISL, Antonio Sorgi.
IL DISASTRO AMIANTO E’ LA NOSTRA BHOPAL (Il disastro di Bhopal avviene nel 1984, è stato, finora, il più grave incidente chimico-industriale della storia, fu causato dalla fuga di 40 tonnellate di isocianato di metile (MIC), prodotto dalla Union Carbide, azienda multinazionale americana produttrice di pesticidi localizzata nel cuore della città di Bhopal, nello stato indiano del Madhya Pradesh. Il rilascio di isocianato di metile, iniziato poco dopo la mezzanotte del 2 dicembre 1984, ha ucciso, secondo le autorità locali 1754 persone, ma fonti non governative hanno calcolato più di 10.000 morti. Da 150.000 a 600.000 le persone avvelenate).
Oltre 3 mila morti all’anno solo in Italia (120 mila nel mondo, di cui 44 mila per mesotelioma pleurico e gli altri per tumore polmonare), 32 milioni di tonnellate di materiale tossico sparso sul territorio nazionale, patologie che continueranno a colpire e provocheranno vittime almeno sino al 2020-2025, considerando che la malattie legate all’amianto hanno un periodo di latenza anche di trenta e più anni e che, quindi, gli esposti continueranno ad ammalarsi e le morti ad aumentare.
Ad aprile di quest’anno, a Torino, si è aperto il processo contro la Eternit, la multinazionale è accusata di disastro colposo. I lavoratori uccisi dall’amianto negli stabilimenti italiani della Eternit, dal 1983 ad oggi, sono 2.889.
L’Italia è stata fino alla fine degli anni ’80 uno dei maggiori Paesi produttori e importatori di amianto. Dal secondo dopoguerra alla messa al bando del 1992 sono state utilizzate più di 20 milioni di tonnellate del materiale, soprattutto nelle attività di coibentazione e della produzione di manufatti in cemento-amianto.
Intanto si scoprono altre realtà colpite dall’amianto-killer. Recentemente a Crotone otto dirigenti della Montecatini Edison sono stati incriminati dalla Procura per omicidio colposo di 7 operai, con l’aggravante della colpa cosciente.
Sono morti di tumore non solo gli operai che lavoravano in fabbrica, ma anche le mogli che lavavano le loro tute blu, intrise di polveri d’amianto.
45 MILIARDI DI EURO I COSTI DOVUTI PER LA MANCATA PREVENZIONE
In occasione del suo 72° congresso che si terrà a Firenze il 25-28 novembre 2009, la Società italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale ( SIMLII) ha emesso il seguente comunicato stampa:
“Nel nostro Paese, gli infortuni rappresentano certamente il problema più eclatante e drammatico, ma l’attività lavorativa può comportare anche altri pericoli per la salute.
Si tratta di malattie professionali, che magari rimangono nascoste per anni, per le quali è difficile risalire alla vera causa, oppure che sono classificate secondo criteri diversi. Il lavoro stesso si trasforma continuamente, cambiano gli ambienti e l’organizzazione, le materie prime e i materiali usati e, di conseguenza, i rischi e le malattie professionali.
Sempre di più, patologie tradizionali coesistono con patologie emergenti.
Pensiamo alle patologie da movimentazione manuale dei carichi, oppure da vibrazioni o da movimenti ripetitivi dall’arto superiore, ai tumori professionali, al rapporto tra qualità dell’aria interna nei luoghi di lavoro e salute, allo stress correlato al lavoro, probabilmente destinato ad aumentare con la globalizzazione dell’economia che sta modificando profondamente l’organizzazione del lavoro e richiede una flessibilità maggiore.”………………
“La situazione è critica per un Paese industrializzato come il nostro – afferma il presidente della SIMLII Giuseppe Abbritti, Professore Ordinario, Direttore della scuola di specializzazione di Medicina del Lavoro dell’Università di Perugia – le cifre ufficiali degli infortuni e malattie professionali, se pur molto preoccupanti, potrebbero addirittura peccare per difetto, perché il lavoro illegale è da noi purtroppo ancora molto diffuso. Si stima che la mancata prevenzione di tutte le patologie causate dal lavoro costi ogni anno circa 45 miliardi di euro”.
domenica 22 novembre 2009
sabato 14 novembre 2009
Se la memoria storica se ne va
di Giuseppe Marazzini
14.11.2009
E la memoria se ne va.
Legnano.
Qualche giorno fa’, in pompa magna, è stata inaugurata la “nuova” sede del PdL (Popolo delle Libertà), e fin qui nulla da eccepire, la questione nasce per averla intitolata a Carlo Borsani e su questa intitolazione qualcosa da eccepire c’è, almeno per chi conosce un po’ di storia del fascismo, della resistenza e della nascita della Repubblica Italiana.
Nella retorica militare monarchica e fascista Carlo Borsani è considerato un eroe della guerra greco-albanese (1941). Diventato cieco in seguito alle ferite riportate, il re gli assegnò la medaglia d’oro al valor militare.
Esponente di spicco della Repubblica di Salò, stretto collaboratore di Mussolini, era il presidente dell’Associazione nazionale mutilati.
Venne fucilato dai partigiani il 29 aprile 1945 a Milano in piazzale Susa, non fu una bella morte come non fu una bella morte quella di molti giovani partigiani.
Legnano ha già avuto un “caso” Borsani, siamo nel 1995 in occasione del 25 aprile di quell’anno, 50° anniversario della liberazione dal nazifascismo, il sindaco Marco Turri pensò bene di dedicargli la piazzetta davanti al Liceo in via Gorizia.
La decisione suscitò molte proteste da parte delle forze politiche di opposizione in Consiglio comunale, di diverse associazioni culturali e dell’ANPI legnanese, tanto che l’iniziativa ebbe risonanza nazionale con interventi autorevoli. Riporto per tutti quello di Leo Valiani: “Borsani merita rispetto perché fu ferito in guerra e per la sua tragica morte, ma io faccio distinzione tra l’uomo e le idee: e le idee di cui Borsani fu, fino all’ultimo, un sostenitore, furono la dittatura e l’alleanza con i nazisti. Se fosse stato per me, non gli avrei dedicato una piazza”.
L’intitolazione a Carlo Borsani della nuova sede del partito di maggioranza relativa della città di Legnano va ben oltre il ricordo di uomini di parte, è una provocazione inquietante di carattere storico e culturale.
Borsani fu fascista coerente fino alla fine della sua vita tanto da ricevere apprezzamenti per la sua “onestà” e il “coraggio” da parte dell’allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.
Borsani richiama una matrice politica inequivocabilmente fascista che molti italiani, con la resistenza antifascista, l’hanno combattuta e sono morti per estirparla.
Perché contrapporre un alto dirigente della Repubblica di Salò ad una città che è stata insignita di medaglia di bronzo al valor militare per attività partigiana, dove opera una sezione dell’ANPI intitolata a Mauro Venegoni, medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana, dove tutti gli anni si ricordano i partigiani combattenti di Mazzafame, dell’Olmina e i deportati nei campi di sterminio nazisti?
Non vorrei che l’intitolazione a Carlo Borsani della sede del PdL diventi l’occasione per commemorare ogni anno un passato condannato dalla storia.
Si vuole richiamare in auge un nostalgico passato?
martedì 3 novembre 2009
VIAGGIO TRA I MALI DELLE FERROVIE ITALIANE
A proposito di ferrovie.
Nel riportare l'articolo del Corriere della Sera che annuncia l'uscita del libro-inchiesta di Claudio Gatti "Fuori orario", voglio ribadire quanto già scritto nei mie precedenti interventi sul potenziamento della tratta ferroviaria Rho-Gallarate e cioè che tale opera potrebbe rivelarsi un gigantesco spreco di risorse economiche per tutta la comunità; lascerà irrisolte le deficienze dei servizi ferroviari; provocherà soltando gravi disagi ai cittadini direttamente colpiti dagli espropri e nella propria salute.
Giuseppe Marazzini
03.11.2009
Esce “Fuori orario”, il libro-inchiesta di Claudio Gatti
Appalti senza gara, malagestione, ritardi, costi maggiorati. E perfino carri scomparsi
MILANO – Un viaggio ad alta velocità tra i mali delle ferrovie italiane. Che altro non sono che lo specchio dei mali dell’Italia. Un viaggio da pendolari di seconda classe attraverso documenti riservati che offrono uno spaccato talvolta inquietante sulle «prove del disastro FS». E’ il viaggio di Claudio Gatti, giornalista de il Sole 24 ore nonché collaboratore del New York Times, da oltre trent’anni residente in America.
CANONE OCCULTO - Nonostante viva da tanto tempo all’estero, Gatti non ha perso la capacità di indignarsi per quelle realtà che molti italiani invece si sono rassegnati a vivere quotidianamente. Nasce anche da queste premesse «Fuori orario – Da testimonianze e documenti riservati le prove del disastro Fs» (edizione Chiarelettere, euro 15), l’ultimo libro-inchiesta sulle ferrovie italiane. Un lavoro reso possibile grazie a racconti di prima mano, rapporti riservati, email di dirigenti ed ex dirigenti, consulenti, imprenditori e fornitori. Una ricerca minuziosa di documenti e testimonianze che in 240 pagine conferma alcuni stereotipi e apre squarci sconosciuti. Fino a fare i conti in tasca a chi paga il biglietto anche se non viaggia. «Negli ultimi cinque anni lo Stato ha finanziato le Fs a una media di circa 6 miliardi di euro all’anno. Il che vuol dire che, senza saperlo, 22 milioni di famiglie italiane stanno di fatto pagando una sorta di ‘canone Fs’ di ben 273 euro all’anno. Oltre il doppio di quello della Rai» scrive l’autore. E pensare che il piano industriale delle Fs «rivela che le ferrovie trasportano appena il 5% dei passeggeri e il 12% delle merci in circolazione in Italia».
MALAGESTIONE E CORRUZIONE - Il viaggio inizia dalla realtà delle eccellenze come l’Alta Velocità che tanto costa ed è costata in termini economici e ambientali (e di cui «si pagheranno le scelte sbagliate come la mancanza di nuovi treni con cui competere contro la Ntv, la nuova compagnia ferroviaria di Montezemolo e Della Valle che dal 2011 inizierà a far concorrenza alle Fs sulle uniche tratte redditizie italiane, ossia quelle dell’Alta Velocità») per passare alla triste realtà quotidianamente sotto gli occhi di centinaia di migliaia di pendolari, ovvero l’«inesorabile decadimento del trasporto regionale e lo stato irrimediabilmente disastrato del servizi merci». I mali principali delle Ferrovie per Gatti sono tre: «La mala gestione di alcuni manager, il disinteresse (o peggio) dei politici che devono governarli e la corruzione diffusa».
PUNTUALITA' E PULIZIA - Gatti prosegue nel suo libro-viaggio fatto di testimonianze e cifre. Anche sulla puntualità dei treni si è messo a fare i conti: «Fino al 1999, quando i dati erano inseriti manualmente, era tutto taroccato. Adesso non è più così. Ma in assenza di controlli esterni, lo spazio per l’abuso permane. Nel 2008 ben 1.754 Eurostar sono arrivati in ritardo ma registrati come puntuali… perché dalla puntualità dipendono le carriere dei dirigenti, i bonus di fine anno e le penali alle regioni». Accanto al problema generale delle pulizia nei treni (e in particolare «delle lenzuola sporche fatte passare per pulite da una lavanderia industriale di Pisa»), problema figlio di anni di malagestione clientelare, ricatti e boicottaggi da parte delle aziende addette alla pulizia in guerra tra loro a cui ora finalmente si è iniziato a porre un freno (anche se è vero che «nessuno tratta male i treni come gli italiani» ammette Gatti), l’altro male endemico delle ferrovie nazionali «è la manutenzione dei treni e dei carri merci». Un altro numero per far capire meglio: «Nel Mystery Client n.59 del 6 ottobre 2006 risulta che nell’agosto 2006 solo il 62 per cento degli Eurostar aveva "almeno il 90 per cento delle porte automatiche funzionanti" e solo il 36 per cento tutte le toilette agibili».
IL RISANAMENTO - Numeri che fanno riflettere. Come quelli sul risanamento. E’ indubbio che la cura Moretti (attuale ad di Fs dal 2006: da quell’anno dalle Ferrovie sono uscite 7.500 persone e 200 manager) abbia dato e stia dando i sui frutti. La Corte dei Conti nel luglio 2009 ha scritto che «la situazione di grave deficit strutturale del gruppo registrata alla fine dell’esercizio 2006… è stata pressoché totalmente risanata sotto il profilo gestionale». Anche se i magistrati contabili aggiungono poi che «il risanamento deve essere consolidato… per fornire servizi adeguati alla clientela». Perché oggi si sta correndo il rischio di un «progressivo declino dell’impresa ex monopolista nazionale, relegata nella gestione di servizi assistiti di bassa qualità». Lo dice lo stesso Mauro Moretti nel suo piano industriale.
IL RITOCCO DELLE TARIFFE - Uno dei problemi delle Fs è appunto quello di rischiare di avere costi alti per bassa qualità dei servizi e perdere così la fiducia dei clienti. E’ vero – come dicono da Fs – che in Italia il costo dei biglietti è inferiore a molte altre nazioni europee ma è altrettanto vero che anche il servizio lo è. «Il governo ha concesso a Cimoli (ex ad di Fs dal 1996 al 2004, ndr) l’aumento delle tariffe solo una volta nel 2001. E poi mai più. A Elio Catania (ad Fs dal 2004 al 2006 neppure uno. Mentre a Moretti ne sono stati accordati subito due». E un terzo è presumibilmente in arrivo dopo il 13 dicembre prossimo quando sarà completata l’ultima tratta dell’AV.
I COSTI DELL'ALTA VELOCITA' - Un’ attrazione fatale, quella per l’Alta Velocità – prosegue Gatti – che partita con certe intenzioni ha raggiunto conclusioni inimmaginabili. Intanto «i treni arrivarono troppo in anticipo rispetto alle disponibilità delle linee per le quali erano stati pensati». Con la conseguenza che oggi chi «va a grattare sotto i Frecciarossa trova "un materiale rotabile" progettato negli anni ’80 e che ha iniziato a circolare circa 15 anni fa. E cioè il vecchio Etr500». Senza poi trascurare il fatto, non proprio secondario, che in Italia si è speso per l’AV molto di più che altrove. Tanti i motivi. L’ex ministro dei Trasporti, Pietro Lunardi, il 19 novembre 2008 durante una puntata di Exit, il programma di Ilaria D’Amico su La7, ne ne indicò uno non marginale: «In Francia e in Spagna hanno mangiato molto meno». Dalla “Indagine sugli interventi gestiti da Tav Spa” dell’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici è risultato che «la Roma-Napoli è passata dagli iniziali 2.095 milioni a 4.463, e la Bologna-Firenze dal costo di un miliardo a 4,2 miliardi». «Nel corso degli anni, sul malaffare Tav – scrive Gatti – hanno indagato 5 procure, due commissioni di verifica e la Commissione parlamentare antimafia… l’impennata di prezzi e tempi non è imputabile solo ai costruttori o agli appalti mal congegnati. Hanno inciso molto anche le modifiche del tracciato e le compensazioni chieste dagli enti locali delle aree attraversate dai binari. E in ultimo la trasformazione del progetto: da Av solo per passeggeri a Alta capacità anche per le merci» («ovvero un enorme e costosissimo bluff» afferma Gatti).
LA SENTENZA DI FIRENZE - Emblematica la sentenza pronunciata il 3 marzo 2009 dal giudice Alessandro Nencini del tribunale di Firenze sui danni ambientali creati dal Consorzio Alta velocità Emilia-Romagna (Cavet) che ha eseguito l’opera di sottoattraversamento dell’Appennino tra Bologna e Firenze che apre ai viaggiatori il 13 dicembre prossimo: 27 condanne con pene fino a 5 anni di reclusione e un risarcimento danni di oltre 150 milioni di euro (solo per il reato di smaltimento abusivo dei terreni di scavo; la perizia della difesa ha parlato di 900 milioni invece per i danni al sistema idrico del Mugello). «Il dato più straordinario emerso dal processo di Firenze – scrive Gatti – è che per una delle più costose e pubblicizzate opere della storia della Repubblica, non risulta che qualcuno abbia mai concesso il benestare ambientale, formale e definitivo». Illuminanti le parole del pm per concludere la requisitoria: «Le cose sono state fatte male e i tempi sono infiniti. Quindi danni e opera non finita. A prezzi raddoppiati».
«APPALTI SENZA GARA» - Il lungo e minuzioso viaggio di Gatti non trascura di fermarsi sulla questione delle dismissioni dell’immenso patrimonio delle Ferrovie, come sulla storia della Sita di Vinella, fino a raccontare dei «troppi appalti senza gara», contesi tra politici influenti, funzionari degli acquisti e «i potentissimi tecnici di Firenze». Cercando di documentare la logica della «spartizione tra fornitori» e degli acquisti «in nome dell’urgenza», fino a raccontare l’«appalto senza gara per 300 carrozze» e riportare le dichiarazioni di alcuni imprenditori, come Giampiero Galigani: «Mi dissero che avevo vinto la gara. Ma poi una persona dell’Ufficio acquisti di Bologna mi ha sconsigliato. Ho capito che non era il caso di andare a dar noia a qualcun altro, che, forse, doveva fare quell’ attività. Dissi: "Va bene, rinuncio"». Fino a raccontare del licenziamento in tronco di chi, «come il manager Vincenzo Armanna, aveva provato a contrastare questo fenomeno di quasi monopolio o comunque di oligopolio dei fornitori». Un panorama che Gatti riassume con poche parole: «Gare d’appalto che non si fanno, imprenditori che denunciano favoritismi, tecnici che manipolano le procedure, rappresentanti che mediano, funzionari onesti che vengono mandati via».
I CARRI SCOMPARSI - Il viaggio dentro le Fs prosegue attraverso il mondo sconosciuto ai più dei «rappresentanti e uffici tecnici» e sui «modi con cui vincere una gara» fino a lavoro dell’Audit, il principale «strumento che hanno le Fs per smascherare piccoli e grandi abusi» e che «sotto la guida di Francesco Richard si è distinto per rigore e indipendenza» in varie occasioni. Tra le due più meritevoli di approfondimento - secondo Gatti – l’acquisto delle biglietterie self service e il caso dei carri scomparsi. Su quest’ultimo caso la relazione finale di Audit Fs - nata dal ritrovamento di due carri con il numero di matricola cancellato e la punzonatura abrasa a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta - parla di «441 carri (che) risultavano in viaggio da mesi, talvolta anni o presenti in un impianto diverso rispetto alle risultanze Sir (il sistema informativo interno, ndr)». «Di altri 55 – prosegue Audit – non si aveva certezza della destinazione» e si pensava fossero stati «oggetto di demolizione con asportazione del materiale demolito senza pagare alcuna somma…». Alla fine, si legge, «risultarono 237 carri ‘andati perduti’». Una notizia – secondo Gatti – che assume un’altra rilevanza anche alla luce della strage di Viareggio del 30 giugno 2009 quando l’incidente al carro della Gatx che trasportava il gas liquido responsabile dell’esplosione era da attribuire a un cedimento dell’asse «arrugginito». «Dietro ai carri scomparsi – scrive l’autore di “Fuori Orario” – si nasconde il business della cannibalizzazione dei materiali rotabili e del mercato nero della componentistica. Per cui un singolo carrello, anche solo apparentemente funzionante, può essere venduto e reimmesso nel circuito ferroviario italiano. Oppure può essere esportato e piazzato su un mercato estero».
Iacopo Gori
03.11.2009 Corriere della sera
domenica 1 novembre 2009
Panem et circenses: un conto salato per Legnano
di Giuseppe Marazzini
01.11.2009
Sono anni che il sottoscritto, in qualità di consigliere comunale, chiede trasparenza e parsimonia nelle spese per il Palio, ma a ben vedere cavalieri e castellane costano sempre di più.
Per le manifestazioni paliesche del 2008 il Comune è andato in rosso di 166 mila euro, ci dicono che parte di questo deficit verrà coperto da un contributo governativo pari a 56 mila euro riducendo così il disavanzo a circa 110 mila euro. Sempre di una bella somma si tratta.
L’assessore competente ci informa che “In media, ogni anno il Comune è in deficit di circa 110 o 120 mila euro. È una costante”. Faccio osservare che la somma del deficit è più alta di quella accantonata per le famiglie e i piccoli artigiani rimasti senza reddito, che ammonta a 100 mila euro.
Il Palio pesa sul bilancio comunale per quasi 500 mila euro, in parte coperti da contributi provenienti da altri enti istituzionali quali Provincia, Regione e Governo, in parte da enti privati (Fondazione Ticino-Olona, Banca di Legnano, etc), e in parte da altri sponsor minori e cittadini paganti.
Per le casse comunali le spese per festeggiare la sconfitta del “Barbarossa” stanno diventando un fardello sempre più pesante visto l’incerto andamento delle entrate comunali.
Il sindaco Cozzi prima, il sindaco Vitali dopo, del rispetto del patto di stabilità, e del fatto che Legnano è un Comune virtuoso, ne hanno sempre fatto una questione di orgoglio amministrativo, bene! Ora la giunta applichi lo stesso orgoglio amministrativo con il Palio. Mai più un bilancio in rosso.
Non per essere corrosivo, ma l’oligarchia che gestisce il Palio dalla parte dei contradaioli deve sapere che se applicassimo le regole del liberismo, che tanto piacciono alla maggioranza degli italiani, il Palio dovrebbe chiudere perché non è in grado di autofinanziarsi.
E visto che siamo in argomento, non sarebbe male far sapere ai cittadini legnanesi quanto le contrade spendono per il Palio, dato che piaccia o non piaccia, i cittadini tutti contribuiscono alla spese del Palio e delle contrade con risorse messe a disposizione dal Comune. Io propongo di cominciare con la buona pratica della rendicontazione della spesa.
Si chiedono i compensi dei manager, non si comprende perché non si devono conoscere i compensi dei fantini o di altre attività collegate.
Così come non si può continuare con l’offerta culturale “paliocentrica” che oltre a drenare parecchie risorse per altre iniziative più attinenti alle conoscenze culturali della città, riduce di molto la possibilità di sostenere altre associazioni impegnate seriamente su altri versanti culturali (scuole di musica, teatro, animazione, cinema).
Credo sia giunto il momento in cui l’Amministrazione locale prenda l’iniziativa; quindi, Sindaco ed assessori unitamente al Consiglio Comunale inizino una seria riflessione per verificare dove stanno gli errori, come correggerli e come ridisegnare un modello di Palio all’insegna della popolarità e della genuinità.
Che il Comune diventi il protagonista vero del Palio.
Iscriviti a:
Post (Atom)