Si è spenta ieri notte Adriana Zarri, teologa, mistica, donna inflessibilmente libera e solitaria.
Stava male da tempo, da quando una caduta pareva avere spezzato d'un colpo l'energia che la spingeva dalla cascina piemontese dove abitava, il suo orto, i suoi animaletti e le sue rose, in giro per l'Italia, saltando sulla sua vecchia macchina o su un treno, a partecipare alle battaglie civili, e custode d'una lettura corretta delle scritture che le permetteva, anzi le comandava, di essere anche cittadina.
Si batteva conversando, riunendo altri nella preghiera, scrivendo.
Sino alla fine, già assai malandata, ha continuato a scrivere per noi, come per Rocca, o per Concilium o Il regno: alternando gli interventi o le rubriche, per noi le agili Parabole, ai saggi e ai romanzi. Tutti in verità parabole, l'ultima è del 2008 Vita e morte senza miracoli di Celestino VI, favola moderna su un papa che non fu - come lei aveva sperato fosse in Ratzinger, dagli esordi assieme a Hans Kung nel Vaticano II - e che si inverava in un colto parroco di campagna deciso a servirsi della indiscutibile autorità, e non perché credesse alla propria infallibilità, ma perché liberava la chiesa di Roma dai suoi ori materiali e dai suoi orpelli devozionali.
Nel romanzo non li definisce «idolàtrici», ma che fosse un'«idolatria» lo pensava e diceva. E vi ha fatto perfino uno dei suoi convegni.
Adriana è stata fra i molti credenti cui il Concilio Vaticano II aveva aperto il cuore alla speranza. Sono molti, e a tutti i livelli, dal fedele a certi parroci a qualche vescovo e fin cardinale, che non si mettono fuori della chiesa, ma ai margini e in mezzo alla gente. La chiesa preferisce ignorarli, e benché siano di sinistra, la sinistra ne fa come la chiesa, ben poco conto: quando Berlinguer, dopo Togliatti, pensò a un'alleanza con i cattolici, la cercò nella Democrazia cristiana, cioè in chi più lontana da questi cristiani di base non poteva essere.
Adriana della Dc, come peraltro del Pci, non fece mai parte, né è mai stata di quelli che si potevano incontrare ai meeting di Comunione e Liberazione, che definì, in un celebre libretto, «i guardiani del sabato». In gioventù era stata tentata di entrare in un ordine, ma vi aveva rinunciato per mantenere liberi i suoi pensieri e la sua parola: «Se non prendo gli ordini, mi diceva, loro più che scomunicarmi non possono, e scomunicare un laico non usa più». Loro, cioè il Vaticano, la curia. Così preferì vivere da laica come una monaca, anzi - amava dirsi – da eremita, del suo orto e dei suoi conigli, lavorando come poteva senza rinunciare alla solitudine, e con l'aiuto dei suoi amici - ne aveva molti, amici che in lei cercavano e da lei avevano la parola, gli incontri di riflessione estivi nella pace della campagna, o la preghiera nella veglia pasquale di cui aveva ritradotto le parole con Fabrizio Frasnedi.
Un giorno le dicevo che del cristianesimo mi interessava la disciplina interiore, protestò con veemenza: disciplina era un termine che non tollerava. Né esteriore né interiore. E' stata di quelli che più hanno attaccato la svolta impressa alla chiesa da Karol Woityla, Giovanni Paolo II.
Non ne apprezzava affatto la derivazione dalla chiesa polacca, non trovò accettabile che stringesse la mano a Pinochet (non lo perdonò neanche a madre Teresa), trovò indegno che cacciasse da sé con un gesto della mano il teologo della liberazione Boff che gli si era gettato ai piedi. Mi aspettavo che la sua scrittura, sempre corretta anche nei passaggi più severi, prendesse come obiettivo anche Ratzinger, ma su Ratzinger ha quasi taciuto. Stava già male, le era rimasto caro il Ratzinger degli inizi, le piaceva la leggenda romana del suo amore per i gatti, e certo la sua predilezione per il rituale latino.
Predilezione condivisa: Adriana la trasgressiva pregava e cantava con una bella voce limpida, il rituale di oggi, trovava giusto che il sacerdote dicesse messa senza dare la schiena ai fedeli, ma non avrebbe rinunciato al gregoriano.
Di quel che conosco in questi ultimi anni su di lei da vicino non so altro. Gli amici perfetti di Ivrea l'hanno accompagnata sino alle fine. Era ormai così fragile che si è come addormentata.
In letizia, spero, perché aveva molto amato la bellezza del mondo, i giorni, le stagioni, le creature, il cielo. La sua era una mistica della vita e sono certa che così - agile, alta, ostinata, attiva, i capelli tirati indietro dal bel viso acuto, vestita sempre con qualche colore perché amava che di colore fosse adorno l'universo - vorrebbe essere ricordata.
Fonte : Rossana Rossanda - il manifesto
Venerdì 19 Novembre 2010 08:21 -
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