di Giuseppe Marazzini
18.11.2012
Il sindaco di Cerro Maggiore
si augura che nel 2013 Ikea realizzi sul territorio del suo comune un mega
centro commerciale. Io mi auguro di no, mi auguro
invece che ci sia una forte mobilitazione contro un'altra operazione di rapina
del territorio, propagandata illusoriamente come portatrice di benefici per
tutti i residenti. Nel frattempo impariamo
a conoscere il "mostro" Ikea.
Ikea chiede scusa ai prigionieri della Germania dell'Est
per lo sfruttamento del lavoro forzato
L'HuffingtonPost | Pubblicato: 16/11/2012
Prima li ha usati e sfruttati. Oggi pone le sue scuse che
arrivano tardi e non cancellano il dolore. Il mobilificio più capillare al
mondo, l' Ikea prova a chiedere scusa per aver beneficiato dell'uso dei lavori
forzati da parte di alcuni dei suoi fornitori nella Germania dell'Est
comunista. L'accaduto non si ripeterà. Oggi Ikea ha i sistemi adeguati per
capire chi lavora con le proprie mani sui prodotti del gruppo svedese. Il rammarico è stato espresso venerdì scorso e si riferisce
a più di due decenni fa. La società ha stilato un rapporto indipendente e
dettagliato che mostra che i prigionieri della Germania dell'Est, tra i quali
molti dissidenti politici, sono stati coinvolti nella produzione di beni
targati Ikea 25 a 30 anni fa.
La relazione conclude che i manager Ikea erano a conoscenza
della possibilità che i prigionieri sarebbero stati utilizzati per la fabbricazione
dei suoi prodotti. "Scongiuriamo profondamente che questo possa accadere
oggi", ha detto Jeanette Skjelmose, un manager Ikea. "L'uso dei
prigionieri politici per la produzione non è mai stata accettata dall'etica di
Ikea". "Ma - ha aggiunto - negli anni addietro non abbiamo avuto il
ben sviluppato sistema di controllo che abbiamo oggi. Anche se abbiamo
chiaramente fatto troppo poco per prevenire tali metodi di produzione."
Ikea ha dato mandato alla società di consulenza e revisore
di fama internazionale Ernst & Young, chiedendo di esaminare le accuse
mostrate in onda da un documentario televisivo svedese lo scorso giugno,
prodotto da un gruppo che si batte per i diritti umani dal 1982. Rainer Wagner, presidente dell' UOKG, che rappresenta il
gruppo delle vittime, ha detto che Ikea era solo una delle tante aziende che
hanno beneficiato dell'uso del lavoro forzato in carcere nella Germania
dell'Est dal 1960 al 1980. "Ikea è solo la punta di un iceberg", ha
detto all'Associated Press in un'intervista all'inizio di questa settimana.
Wagner ha detto di sperare che Ikea e altri prendano in considerazione
l'ipotesi di un risarcimento per gli ex detenuti, molti dei quali portano
ancora oggi le cicatrici psicologiche e fisiche del duro lavoro che sono stati
costretti a fare. Difficile se non impossibile trovare un modo per risarcire
il danno commesso, ma il gruppo svedese prova in tutti i modi a ricucire quelle
ferite i cui segni resteranno per sempre. "Ikea ha assunto la guida di
questa proposta dell'UOKG, alla quale siamo molto grati", ha detto in una
conferenza stampa a Berlino, dove è stata presentata la relazione. Peter
Betzel, il capo di Ikea in Germania, ha detto che la società continuerà a
sostenere gli sforzi per indagare sull'impiego di prigionieri in Germania Est
nel futuro.
Ikea non è la prima volta che si trova nelle condizioni di
recitare delle scuse. L'ultima, prima di questa, risale a ai cataloghi
distribuiti in Arabia, dove nelle foto di mobili e arredamenti, la figura delle
donne, veniva sostituita con quella di altri oggetti.