30.04.2013
StudioNews24 – 27 aprile 2013
Bangladesh, tragedia annunciata: crolla palazzo dichiarato inagibile, 300 morti
Si continua a scavare, alla periferia di Dacca, per cercare di strappare alle macerie del Rana Plaza alcuni degli operai rimasti ancora intrappolati a tre giorni dal crollo. In settantadue sono stati miracolosamente estratti vivi, ma, secondo le ultime stime, fra le tre e le quattrocento persone risultano ancora disperse sotto i resti degli otto piani del palazzo, venuto giù come un castello di sabbia lo scorso 24 Aprile provocando il tragico bilancio di 304 morti e quasi mille feriti, numero in costante aumento.
Bangladesh: tra tragedie e proteste
Nei pressi dell’edificio continuano ad aggirarsi i parenti
delle vittime, cercando fra le file dei cadaveri ancora senza nome di
riconoscere un volto familiare- sperando di non trovarlo- oppure affidandosi
alle liste dei dispersi affisse al muro.
Mentre i soccorritori continuano incessantemente a scavare
con l’aiuto dell’esercito, a poca distanza, in strada, esplodono le proteste di
un paese indignato da questo disastro – il peggiore nella storia dell’industria
tessile del Bangladesh, ma non l’unico – avvenuto a soli cinque mesi
dal terribile rogo della fabbrica Tazreen Fashion Factory, costato la
vita a 120 operai. In migliaia si sono scagliati contro la polizia invocando la
pena di morte sui responsabili di quella che è stata, a tutti gli effetti, una
tragedia annunciata: l’edificio infatti era stato dichiarato inagibile dai
vigili del fuoco, allertati da alcune vistose crepe, proprio il giorno prima
del pauroso crollo.
L’edificio infatti ospitava al suo interno, oltre che uffici
e un centro commerciale, anche molte fabbriche tessili i cui operai, secondo le
testimonianze dei sopravvissuti, sarebbero stati ricattati dalle grandi
multinazionali , obbligati a rientrare al lavoro in un edificio pericolante per
non fermare le linee di produzione. Questo riporta al centro dell’attenzione l’enorme problema
delle precarie condizioni di lavoro in Bangladesh, il paese con i salari più
bassi del mondo (in media, circa 28 euro mensili) dove i grandi brand della
moda low-cost approfittano del bassissimo costo della manodopera e della
tassazione più che favorevole per delocalizzare le proprie linee di produzione
ed essere competitivi sul mercato: l’elenco è lungo e comprende nomi arcinoti,
da Mango a Primark, da Wal- Mart a Gap, passando per il colosso svedese H&M
e anche per l’italiana Benetton che però, in un comunicato stampa ufficiale,
smentisce ogni coinvolgimento.
Redattore Sociale – 29 aprile 2013 ore 16:22
Crollo in Bangladesh, Abiti Puliti: “Benetton coinvolta, ci sono le prove”
La campagna fa sapere che etichette del marchio italiano sono
state ritrovate e fotografate tra le macerie del Rana Plaza. La richiesta:
“Assumere la responsabilità e contribuire al fondo di risarcimento per le
famiglie delle vittime".