17.05.2013
Sono soprattutto la frustrazione e la solitudine a
spingere le giocatrici verso bingo, slot machine, superenalotto, lotto e gratta
e vinci. Così, un ambito che fino a pochi anni fa era prettamente maschile,
ora, invece, è per il 40% femminile. Soltanto una piccola parte, però, accede
ai servizi di sostegno. "E' maggiore lo stigma sociale"
di Stefania Prandi | 14
maggio 2013 – Il Fatto Quotidiano
Giocano per dimenticare le frustrazioni, per
far quadrare i bilanci familiari, per fuggire al vuoto di
matrimoni stanchi e di una quotidianità ripetitiva,
per trovare un nuovo ruolo sociale quando i figli crescono e
se ne vanno di casa. Sono questi i motivi che spingono le donne al gioco
d’azzardo, un ambito che fino a pochi anni fa era prettamente maschile
e che ora, invece, è per il 40% femminile. Bingo, slot
machine, superenalotto, lotto e gratta e vinci, sono i giochi preferiti dalle
giocatrici che in media hanno tra i 50 e 60 anni e sono sia italiane
sia immigrate. Il gioco diventa un riempitivo, una bolla di
sapone in cui rifugiarsi, con una rischiosa controindicazione: il confine tra passatempo
e dipendenza è labile ed entrare nella spirare del gambling
(che implica perdita di autonomia, debiti che arrivano anche a 30/40mila euro e
ricorso agli usurai) è più facile di quanto si pensi. Si stima che ci siano un
milione di persone in Italia cadute nella rete della dipendenza da gioco: più
di 400mila sono donne.
Soltanto una piccola parte di loro, però, riesce ad accedere
ai servizi di sostegno. Come spiega Graziano Bellio, presidente
dell’associazione “Alea“,
il rapporto tra i giocatori maschi patologici in trattamento nei servizi
rispetto alle donne è di 4.5 a 1. Questo fa pensare che le
donne abbiano più difficoltà a chiedere aiuto alle strutture pubbliche o
all’associazionismo. Secondo Fulvia Prever, psicoterapeuta
dell’associazione “Azzardo e nuove dipendenze” (And, ndr),
questa situazione è dovuta a diversi fattori: le donne in genere devono affrontare
da sole la difficoltà in cui si trovano, hanno su di sé il peso emotivo – ed
economico in certi casi – dell’intera famiglia, la loro trasgressione è
malvista a livello sociale. Raramente vengono accompagnate al Sert
dal marito o dal compagno e il percorso di recupero è caratterizzato da un’estrema
solitudine. Anche per questo motivo Prever ha organizzato nel 2010,
con un’altra psicoterapeuta, Valeria Locati, un gruppo di sole
donne (una quindicina in tutto, che ruotano a periodi) alla parrocchia di San
Pietro in Sala in piazza Wagner, a Milano, basato sul confronto
e sul mutuo-aiuto. Un’iniziativa che è stata presentata a
convegni internazionali e individuata come rilevante per avviare un
progetto di coordinamento europeo, con base in Germania.
Un problema che scaturisce dal gioco delle donne è che,
passando in genere più tempo con i figli, accade che li portino con sé mentre
giocano, dice Cristina Perilli, psicologa Asl di
Milano.“L’altro giorno in un bar ho visto una donna che giocava con una slot e
alla macchinetta a fianco c’era il figlio di due anni, che inseriva ogni tanto
una monetina”. Situazioni come questa non sono rare, spiega Angela
Fioroni, segretaria della Lega delle autonomie locali della Lombardia,
associazione che ha di recente elaborato un
manifesto, sottoscritto da oltre 100 sindaci, in cui chiede
allo Stato una nuova legge nazionale, per ridurre l’offerta, e
più potere agli enti locali per regolamentare l’orario di apertura
delle sale gioco e stabilire le distanze dai luoghi sensibili
come le scuole.
Nella dipendenza da gioco d’azzardo lo Stato
italiano ha infatti un’enorme responsabilità. Come sottolinea Bellio,
è il principale beneficiario degli introiti del settore – che
arrivano, in un anno, a 100 miliardi di fatturato fruttando 8 miliardi di tasse
– e ha manifestato fino a pochi mesi fa una netta connivenza con le posizioni
dell’industria dell’azzardo. L’aver assegnato ai monopoli di stato (la stessa
agenzia che gestisce le concessioni) il ruolo di sviluppare politiche
di protezione dei cittadini, rende questa operazione poco credibile e
dall’esito scontato. Le associazioni come Alea, hanno da sempre sostenuto che
responsabile delle politiche di protezione deve essere il ministero della
Salute o degli Affari sociali, cioè un settore dello Stato diverso da chi
incamera il denaro. Siamo l’unico Paese in Europa ad avere 400mila slot
machine diffuse capillarmente sul territorio nazionale, senza alcun
tipo di regolamentazione, ricorda Fioroni: è tempo di dare una svolta
a questa situazione che sta mettendo in ginocchio migliaia di famiglie.
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