15.02.2015
NON HO ALCUN DUBBIO: GIULIANO
PISAPIA
n. 6 VII di ARCIPELAGOMILANO - 11
febbraio 2015 da Pierfrancesco Majorino
Seguo spesso il dibattito che
ArcipelagoMilano ospita sulla città e sulla qualità dell’Amministrazione
comunale. Il tema, per me, è tutto dentro la piazza del 30 maggio del 2011.
Come utilizzare, mi chiedo ancora una volta, in questo ultimo anno di mandato
della Giunta Pisapia e in vista delle elezioni del 2016, quel misto di
aspettative e di desideri? Credo che da lì, da quelle emozioni passate, nel
discutere del “futuro”, si dovrebbe ripartire. E lo si dovrebbe fare decidendo
che quella piazza, cioè quell’enorme incontro tra cittadini diversi, sia il
perimetro dentro il quale costruire la sfida del nuovo mandato. Dichiarando
esplicitamente, in altre parole, che non vi possano essere all’orizzonte cambi
di composizione, strani esperimenti in laboratorio, micronazareni in salsa
ambrosiana, sulla natura del centrosinistra milanese.
Ci aspetta, per me, per farla
breve, un’altra scommessa molto “arancione”. Laddove l’”arancione” era il
colore della sfida unitaria – di tutti, e quindi pure del PD, e di ciascuno – e
non di una piccola pattuglia al servizio del candidato Sindaco di turno. E poi
bisogna ripartire da quell’ansia di cambiamento, senza sminuire l’enorme lavoro
realizzato sin qui.
Ad esempio dicendo, mi fa piacere
scriverlo anche “da queste parti”, che tante delle cose fatte in questi anni
siano state tutto fuorché lontane dal confronto attivo con la società milanese.
Penso (certamente e con orgoglio che non voglio nascondere) alle Politiche
sociali, laddove, nella distrazione di troppi, infatti, da tempo il mondo del
welfare milanese si incontra ogni anno (e dal 27 febbraio al 7 marzo prossimi
la cosa si ripete) in un’occasione di confronto e dibattito assolutamente unica
in Italia, inesistente prima che arrivassimo “noi”, e capace di tenere assieme
“aspettative” e critiche, un “arcipelago” – pubblico e privato – che ha scritto
assieme il Piano triennale di sviluppo del welfare e che tra pochi mesi si
dovrà nuovamente cimentare sulla definizione del nuovo documento di
programmazione, e che, in modo ancora più rilevante, si cimenta spesso sul
terreno delle battaglie per l’inclusione sociale e della realizzazione delle
risposte concrete al bisogno.
O penso all’opera immane
realizzata rispetto ai processi di rigenerazione urbana, ciò che ha portato al
PGT, o a quanto è stato detto e scritto e praticato sui temi della mobilità
(Milano è un esempio nel mondo, oggi, su mobilità condivisa ed Area C) o del
lavoro, fino alle esperienze di Bilancio partecipato per la realizzazione di
alcuni interventi, a cui si sta dando vita in quest’ultimo periodo.
Insomma: smettiamola con la
continua opera, tanto cara a sinistra, di demolizione depressiva di ciò che
siamo. Non era infatti scontato, per dire di questioni diverse che il Comune
decidesse di farla finita con la gestione dell’ALER, che mettesse mano alla
gestione degli spazi sociali o che si facesse carico dell’azione solidale nei
confronti dei profughi siriani. E non era scritto in nessuna tavola di legge
che a fronte dell’immobilismo romano del centrosinistra sui diritti civili
Milano diventasse la città capace di praticare una rotta opposta, introducendo
in pochi anni (e grazie all’azione di assessorati diversi): la Casa dei
diritti, il registro delle unioni civili, il registro sul “testamento
biologico”, l’ufficio contro le discriminazioni, lo sportello di consulenza per
le coppie che si cimentano con l’eterologa.
O ancora, e non è un regalo
portato da qualche cicogna, la scelta di non tagliare il welfare nell’epoca
della riduzione dei trasferimenti o l’erogazione di aiuti contro le povertà per
un valore di oltre 102 milioni di euro: qui c’è il peso di una scelta politica
complessiva fatta da tutta la Giunta Pisapia. E potrei continuare, consumando
altro spazio.
Ecco, allora, che il tema è
quello di capire come “continuare cambiando”, dentro la città che ospiterà
l’EXPO e oltre il mitico 2015. Perché le strade potranno essere tre:
1) difendere il lavoro fatto in
un esercizio autistico volto a dire che il tema sia solo quello di resistere
contro il ritorno dei barbari
2) demolire l’Amministrazione
Pisapia e costruire il futuro nel tentativo bizzarro di volantinare ai mercati
chiedendo un voto nel nome di quanto in questi anni il centrosinistra abbia
fatto schifo
3) decidere che quella che si è
aperta nel 2011 sia stata una porta. Che da lì si debba proseguire
assolutamente consapevoli che tante delle cose entusiasmanti intraprese non
siano altro che all’inizio. E che il lavoro da fare in questi mesi, cioè nei
mesi che porteranno alle elezioni, sarà, proprio come accadde dopo le primarie
del 2010, riscrivere assieme, il programma, il progetto.
Riaprendo presto, se posso usare
questa semplificazione, le “officine”. Cioè decidendo che la proposta per la
Milano del 2020, del 2030, non potrà essere la mera continuazione di quanto sin
qui realizzato ma dovrà nascere dall’incontro tra l’azione del governo
sviluppata e quello strano e difficile universo di ansie e desideri, che
riaffiora carsicamente, che buca la terra e domanda di andare avanti in modo
ambizioso per governare cambiando le cose.
Ci serve, insisterò fino alla
noia su questo, un grande lavoro collettivo e di squadra. E in questa necessità
di fare squadra, mi rivolgo al dio del buon senso, nessuno riproponga una
ridicola contrapposizione tra partiti e società civile che proprio Pisapia,
Boeri e Onida avevano saputo positivamente gettare alle ortiche in quei mesi
difficilissimi e appassionanti che ci portarono alla vittoria del 2011. Infine:
chi può essere il miglior interprete di una scommessa del genere? Cioè chi può
essere il candidato sindaco più efficace per tenere assieme radicalità e
concretezza? Continuità e volontà di non farsi divorare dall’orgoglio
“difensivo” del lavoro fatto, da brandire come una clava di fronte a tutti
quelli che domandano legittimamente di fare di più e di meglio?
Non ho alcun dubbio: Giuliano
Pisapia.
Pierfrancesco Majorino
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