16.08.2015
Bisogna fermare il partito
trasversale degli inceneritoristi costituito dalle grandi aggregazioni
dell'energia quali, ad esempio, Iren o A2A, dai loro sostenitori politici e da
una pletora di consulenti e tecnici che favoleggiano sull'incenerimento dei
rifiuti. L'obiettivo di questo partito è quello di far saltare la diminuzione
della produzione di rifiuti, la raccolta differenziata e il recupero dei
materiali, il loro riutilizzo o riciclo. Nel frattempo cercano di ostacolare il
modello dell'economia circolare, un modello che pone al centro la sostenibilità
del sistema della produzione delle merci e che prevede una partecipazione
diretta delle popolazioni.
Parbleau!, non mi ero accorto di aver vissuto per 67 anni sotto un modello "sovietico", così ce la racconta il nuovo direttore del nuovo quotidiano l'Unità, Erasmo D'Angelis (ex Manifesto). Capisco che bisogna essere servili a Palazzo Chigi, ma qui si sta esagerando un po'. Buona lettura e buon divertimento!
L’Unità – lunedì 20 luglio 2015 – pag.9
Municipalizzate, fine del modello "sovietico" che resiste dal
1903
Oltre settemila enti, caso unico
nell'Unione europea. Consegnato al premier l'elenco di quelli da tagliare. La strada è: dimensionare.
L'operazione porterà risorse utili per far i diminuire le tasse.
di Erasmo D'Angelis
Ci siamo. Sta per crollare
l'ultimo Paese sovietico d'Europa, l'unico del Continente con un numero abnorme
di enti inutili e municipalizzate che negli anni sono cresciuti, si sono moltiplicati
all'infinito, ma moltissimi ormai agonizzano nell'inefficienza e con conti in
rosso che nessuno riesce più a ripianare e stabilizzare. Accade nel cuore dello
Stato ma soprattutto verso Sud, e proprio nelle Regioni con i servizi pubblici
locali peggiori. A questa storia, che si trascina da decenni, il Governo ha
deciso di mettere la parola fine. Il Ministro Marianna Madia ha appena consegnato
al premier il quadro desolante della «rilevazione degli enti vigilati o
finanziati» che fanno riferimento a Ministeri e alla Presidenza del Consiglio,
che dovranno essere tagliati. E negli uffici del primo piano si valutano in
queste ore anche i dossier sulle municipalizzate, un altro settore che crea
debito pubblico e sprechi. Dalla razionalizzazione il governo conta di
recuperare un bel pacchetto di miliardi per tagliare le tasse. Si volta pagina
con una spending review definita anche con l’Anci, fondata su diversi ottimi motivi:
garantire a tutti gli italiani la qualità dei servizi fondamentali, fare
ovunque un salto nell'efficienza, realizzare politiche industriali e non più
clientelari, fare gli investimenti che servono potendo accedere a prestiti
strutturati, risparmiare sui costi di gestione, permettere economie di scala,
mettere in cima trasparenza e legalità, sforbiciare una pletora di consiglieri
di amministrazione e revisori dei conti il cui numero a volte è superiore a
quello dei dipendenti e il loro numero calerà di circa 20 mila poltrone.
Il fatto è che la cifra
complessiva delle municipalizzate ha già raggiunto la cifra record di 7.170, di
cui oltre 2.700 strumentali, ma una quota di Comuni e di Regioni non ha ancora
completato il trasferimento del data base a Palazzo Chigi. Il loro
funzionamento è fuori da ogni logica di mercato in senso positivo (efficienza
di gestione, gare ad evidenza pubblica, regolazione e controlli), garantito
dall'anomalia che vede lo stesso 'padrone' (il Comune) nello stesso tempo
gestore in house del servizio e controllore di sé stesso. E' una cosa di
buonsenso, e anche molto di sinistra, superare questo magma unico al mondo con
una politica industriale nazionale nel settore delle aziende pubbliche, avviata
dal Governo con norme e leggi che incentivano aggregazioni, fusioni, sinergie,
cancellando un mare di aziende comunali in default da decenni, tecnicamente
fallite, che stanno però pompando debito pubblico e drenano risorse dai bilanci
comunali solo per ripianare i loro deficit aumentando la sofferenza finanziaria
delle amministrazioni locali. Non di rado, il sistema fuori controllo mette
anche in mostra il peggio di sé, con tangentopoline locali o grandi scandali
impressionanti come l'inverosimile biglietteria parallela dell'Atac di Roma,
l'azienda comunale che trascina anno dopo anno un bilancio da profondo rosso da
record pari a 1.6 miliardi, che nessuno sa come ripianare.
Questa parcellizzazione è unica
in Europa. E' lontano anni luce il 1903, l'anno in cui il Parlamento dichiarò
per legge la municipalizzazione di tutti i servizi pubblici: dai lavatoi al
gas, dalle farmacie ai bagni pubblici, dalle tramvie agli acquedotti. Quello
era un Paese con povertà dilagante, industrialmente all'anno zero. La civiltà e
il progresso si misurava dalla gratuità e dalla universalità dei servizi. Oggi
i Giolitti, Zanardelli, Turati, Costa, Sturzo e Montemartini sforbicerebbero
immediatamente centinaia di Cda, creando pochi e grandi player pubblici in
settori chiave per la qualità della nostra vita e dell'ambiente, per gestire
come si deve lo smaltimento dei rifiuti, il ciclo dell'acqua, servizi a rete
come energia, gas, elettricità, la mobilità. Non difenderebbero lo status quo
perché ormai non difende né il lavoro, né i lavoratori né gli interessi
pubblici. La stessa parola "municipalizzata", nel vocabolario
corrente, è purtroppo diventata emblema di caste, clientelismi, sprechi, appalti
pilotati, poltronifici. E chiunque abbia finora provato a toccare questo
sistema, ha fatto scattare il riflesso della "liquidazione del bene comune",
ultimo alibi fornito a troppi politici furboni che hanno continuato a gestire
le proprie clientele con il corredo di bilanci dissestati, affidamenti oscuri e
servizi a singhiozzo alle comunità locali. La strada imboccata dal Governo è:
dimensionare. Accadrà con politiche differenziate in vari settori. E' in arrivo
il disegno di legge di Graziano Delrio che riformerà il trasporto pubblico
locale (metà delle circa 500 aziende possono portare i libri in tribunale)
aumentando l'investimento in nuovi bus e le prime norme le vedremo nella
prossima legge di stabilità che imporrà gare a livello di ambito e incentiverà
le fusioni. Così nel settore dei rifiuti, delle farmacie comunali, del servizio
idrico.
C'è una Italia migliore che fa la
differenza e indica la soluzione: migliaia di Comuni nel centro-nord, dagli
anni novanta, hanno saputo aggregare le loro aziende creando multiutlity di
successo di cui sono azionisti, quotandole in borsa e oggi sono partecipate da
migliaia di cittadini investitori. I servizi regolati da Autority pubbliche e
indipendenti funzionano, e garantiscono occupazione anticiclica. Nel solo settore
idrico, la differenza degli investimenti è abissale: le 2.400 piccole aziende
comunali riescono a malapena ogni anno a investire una media di 10 (dieci!)
euro ad abitante, il nulla. Le aziende dimensionate realizzano opere e
interventi in difesa dell'acqua bene comune investendo ogni anno dai 50 agli 80
euro ad abitante, con tariffe ampiamente sotto le medie europee. I Sindaci
controllano decisamente bene le grandi società come Acea, Iren, Hera, A2A. Non
sono aziende 'private' ma saldamente in mano pubblica sia quando i sindaci
'padroni' cambiano management sia un minuto dopo averlo fatto ' quando decidono
piani di sviluppo e dividono gli utili utilizzati per il welfare o per riparare
le buche. I soci industriali privati sono minoranza. Dove resiste, invece, il
nostro storico "socialismo municipale", i servizi agonizzano. E'
questa la fotografia dissestata, scattata anche da Utilitalia, la nuova
federazione di grandi aziende pubbliche appena nata. Le alternative, in fondo,
non esistono più. Dall'aprile 2011, nessun ente locale può indebitarsi e il
fiscal compact rende impossibile coprire i deficit delle aziende comunali.
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