martedì 20 ottobre 2015

BERSANI SBAGLIA. MEGLIO SEPARARSI PRIMA DI ESSERE INDIFENDIBILI

Giuseppe Marazzini
20.10.2015

Franco Monaco: il parlamentare legnanese auspica una sinistra di governo. 
Richiama il PD in versione prodiana e invoca una serena separazione da Renzi. 

Il Manifesto – domenica 18 ottobre 2015
Bersani sbaglia. Meglio separarsi prima di essere indifendibili
di Franco Monaco*

Ci sono buone, buo­nis­sime ragioni, e non neces­sa­ria­mente “di sini­stra”, ma sem­pli­ce­mente di equità e di lega­lità, per dis­sen­tire da misure della legge di sta­bi­lità quali la can­cel­la­zione tout court della tassa su tutte le prime case e l’innalzamento a 3mila nell’uso dei con­tanti. Come va facendo giu­sta­mente la mino­ranza Pd. Dis­sensi che vanno ad aggiun­gersi a molti altri: sulla Costi­tu­zione, sull’Italicum, sul jobs act, sulla scuola, sulle libe­ra­liz­za­zioni (revo­cate), sulla respon­sa­bi­lità civile dei magi­strati, su con­trat­ta­zione e rap­porto con i sin­da­cati e, di qui a poco, sulla Rai. Dove già si è prov­ve­duto a nomine medio­cri e lot­tiz­zate pro­fit­tando della legge Gasparri e ora ci si accinge a fare una riforma che riforma non è (nulla sulla mis­sion del ser­vi­zio pub­blico, sui tetti pub­bli­ci­tari, sulla com­ples­siva visione del sistema infor­ma­tivo, scom­parsa ogni trac­cia del modello BBC che pure figu­rava nella sto­ri­che pro­po­ste del cen­tro­si­ni­stra da Vel­troni a Gen­ti­loni). La solita lot­tiz­za­zione del cda e sem­mai un di più di presa sulla Rai da parte del governo che si nomina il vero domi­nus dell’azienda nella per­sona del suo ad. L’opposto del man­tra bugiardo del cosid­detto passo indie­tro della politica.

Una mino­ranza che dis­sente su tutte le que­stioni che con­tano, che, a parole, denun­cia — Ber­sani dixit — che «si sta por­tando il Pd da un’altra parte», che leva alte grida con­tro il soc­corso di Ver­dini ma poi non ne trae le con­se­guenze. Sem­mai rei­tera com­por­ta­menti alla lunga indi­fen­di­bili, distin­guen­dosi in par­la­mento, con­tro un vin­colo poli­tico prima che disci­pli­nare, per chi sta in un par­tito degno di que­sto nome. Dove ci si con­forma ai deli­be­rati della mag­gio­ranza. Eppure Ber­sani si ostina a ripe­tere «sepa­ra­zione? Tre volte mai». Fran­ca­mente non lo capisco.

Per parte mia sarei meno pole­mico ma più riso­luto, più con­se­guente: si prenda atto di dif­fe­renze ideali, poli­ti­che e pro­gram­ma­ti­che non com­po­ni­bili in un mede­simo par­tito e ci si separi, senza reci­proci ana­temi. È sem­pre più evi­dente che il Pd di Renzi è cosa diversa dal Pd con­ce­pito nel solco dell’Ulivo, quale par­tito di cen­tro­si­ni­stra niti­da­mente alter­na­tivo al cen­tro­de­stra. Lo si chiami par­tito della nazione, piglia­tutto, par­tito unico di governo, grande cen­tro. Come si può negare una tale evi­denza? Solo se si pre­sta cre­dito a slo­gan funam­bo­lici ed esor­ci­stici di cui è pro­digo il pre­mier, del tipo: il jobs act è la legge più di sini­stra di que­sto governo; così pure di sini­stra sarebbe la legge di sta­bi­lità che tanto piace a impren­di­tori e com­mer­cianti; l’Italicum è la più demo­cra­tica delle leggi elet­to­rali (tutte for­mule renziane).

Da tempo, ina­scol­tato, sostengo che non è né sag­gio né utile esa­spe­rare il con­flitto interno e logo­rare gli stessi rap­porti per­so­nali. Anche per­ché, sepa­ran­dosi da buoni amici, ci si potrà even­tual­mente alleare domani, se matu­re­ranno le con­di­zioni, tra un cen­tro ren­ziano e una sini­stra di governo, uniti e distinti dal cele­bre trat­tino, al modo del cen­tro­si­ni­stra sto­rico basato sull’’asse Dc-Psi. Su un pro­gramma nego­ziato. Fare un grande cen­tro non è una bestem­mia. Ma certo è cosa diversa dal Pd ver­sione pro­diana. Per­ché la mino­ranza ber­sa­niana è così indi­sci­pli­nata ma, insieme, osti­nata nel rifiu­tarsi anche solo di con­si­de­rare l’ipotesi di una serena sepa­ra­zione? Mi do tre rispo­ste: 1) per­ché vit­tima del mito uni­ta­ri­sta del par­tito di marca comu­ni­sta, l’opposto di una con­ce­zione laica di esso quale stru­mento ser­vente una poli­tica in cui ci si rico­no­sce (il fine è la poli­tica, non il par­tito, un mezzo, che si può cam­biare senza drammi); 2) per­ché, sot­to­sti­mando sia lo sta­tuto Pd che dise­gna un par­tito fon­dato sulla demo­cra­zia di inve­sti­tura del lea­der sia la stessa sog­get­tiva voca­zione di Renzi a un lea­de­ri­smo spinto, ci si illude di potere strap­pare una gestione con­so­cia­tiva del par­tito, magari una gestione a due (del resto il tanto cele­brato — dalla mino­ranza Pd — “metodo Mat­ta­rella” fu una deci­sione presa in due, Renzi e Ber­sani, il più ver­ti­ci­stico dei metodi, con­si­de­rato che i grandi elet­tori Pd non furono mai con­sul­tati ma solo infor­mati a un’ora dal voto per il Qui­ri­nale) 3) forse anche un certo sistema di inte­ressi dif­fusi che ha il suo bari­cen­tro in Emi­lia e che — il caso dei mini­stri modulo Poletti inse­gna — mal­vo­len­tieri abban­do­nano il certo di un rap­porto orga­nico con il par­tito al governo per avven­tu­rarsi verso l’incerto di un nuovo sog­getto di sini­stra. La quale sini­stra può attendere.

*depu­tato Pd




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