08.03.2014
Intervista di Carlo Di Foggia al sociologa Marco Revelli (Fatto
Quotidiano 8.3.14)

Un culto della personalità che per Revelli si esplica secondo schemi
radicati nella storia del Paese. C’è la fragilità delle élite che “risale al
tempo delle signorie, all’asservimento allo straniero delle nostre classi
dirigenti”. “È incorporato nel nostro Dna – spiega il sociologo – la pratica
del servire qualche viceré, non dico l’imperatore”. Ma c’è anche “una fragilità
delle nostre masse popolari, che hanno acquisito tardissimo la consapevolezza
dei propri diritti, anche dopo l’avvento della modernità. Nel 1648, quando noi
piegavamo la schiena e baciavamo le mani al signore di turno, gli inglesi
firmavano l’Agreement of the people,
il patto del popolo. Nemmeno il risorgimento è riuscito a costruire una
nazione, intesa come popolo. Siamo stati per lungo tempo uno Stato senza
cittadini. Abbiamo avuto la resistenza come momento di dignità, per poi vivere
di rendita”. Il malessere morale del “servo encomio” affligge da tempo la
società tutta, ma diviene imperdonabile quando intacca le istituzioni (“il
punto più basso lo abbiamo raggiunto con il voto del parlamento sulla nipote di
Mubarak”) e l’informazione: “Con Berlusconi, un bel pezzo di giornalismo ha
abdicato al buon gusto e alla dignità.
Quanti editoriali del Corriere della
Sera hanno celebrato la sua figura?”.
La scuola di Siracusa si configura così come l’ultima tappa di un
percorso il cui solco è stato già tracciato: “È un’immagine che spiega
l’antropologia malata di una nazione, le sue cadute, la corsa al servizio del
nuovo padrone”. Senza chiamate, per una innata forma di propensione naturale a
rinunciare alla libertà come dovere morale. “Piero Gobetti nell’Elogio della
ghigliottina scrisse che né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di
padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi”. Un salto all’indietro,
che per Revelli è lo specchio di un vuoto pneumatico di cui si percepisce a
stento il pericolo. “Gliel’avevano preparata autonomamente. Non l’aveva neanche
chiesta. È un atteggiamento che si manifesta ante litteram, senza che abbia
ancora dimostrato nulla. Un tedeum prima della battaglia. Il coro dei bambini
esprime l’horror vacui, la paura che dietro ci sia il nulla”.
Assuefatti al ventennio berlusconiano, agli omaggi gratuiti e alle
accoglienze trionfali, abbiamo smesso di stupirci, eppure si “annuncia una
nuova metamorfosi nella crisi della nostra democrazia, che unisce alla
iper-personalizzazione il contatto diretto tra capo e massa”. Se Berlusconi si
identificava con la comunicazione, soprattutto televisiva, perché “aveva
lavorato molto sull’immaginario”, ma con dietro “un’enorme fortuna economica”,
Renzi non ha nulla sotto di sé: “Ha una società liquefatta”. Il rischio è che
l’ex sindaco di Firenze tenti di ripetere la stessa operazione, “ma dentro un
sistema multimediale molto più reticolare: eleverà a valore la crisi della
politica, smarcandosi dalla casta, come se non contasse, in nome del transfert
diretto”.”
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