14.11.2014
Arcipelago Milano
LO STATUTO DELLA CITTÀ METROPOLITANA: GOLIA DETTA LE REGOLE
11 novembre 2014 da Vincenzo Meroni
Dalla politica milanese questa
settimana arrivano due notizie, una è buona mentre l’altra è grigia, quasi
nera. La prima è che sono finalmente partiti i lavori per la costruzione della
futura Città metropolitana di Milano (C.M. in seguito), con la definizione
dello statuto su un percorso ben definito. La seconda notizia è che la C.M. nel
2015 subirà un taglio del 30% delle risorse, come ha dichiarato il presidente
uscente della Provincia (Podestà all’audizione consiliare di lunedì 10 novembre
rispondendo a una precisa domanda sul debito posta dal sindaco Chittò di Sesto
S. G.), rimarcando che: “Nel nuovo ente, per fare le strade e le scuole, il
numero di dipendenti attuali è eccessivo. C’è da chiedersi dove possono trovare
una migliore collocazione”.
Dall’approvazione della legge
Delrio si è parlato e discusso molto dello statuto e delle risorse. Come spesso
succede, le aspettative si rivelano troppo elevate, rispetto alle reali
possibilità che la politica può o vuole concedere. Manca poco al 1° gennaio 2015
e al passaggio di consegne, quando le carte saranno messe sul tavolo. Occorre
ragionare con mente aperta e senza preconcetti, seguendo l’evolversi della
situazione che non sarà indolore. A fine settembre 2014 c’è stato il voto per
il Consiglio metropolitano, dopo un mese a fine ottobre è stata costituita una
apposita commissione statuto, composta da 12 consiglieri.
Subito dopo, ai primi di
novembre, la presidente Censi della commissione emette una Open Call di idee e
contributi utili alla stesura dello statuto (scadenza lunedì 10 novembre). Il 5
novembre per la prima volta si è riunita la Conferenza metropolitana, composta
dai 134 sindaci dei comuni milanesi (presenti meno di ottanta). Nel corso del
dibattito condotto da Pisapia viene illustrata l’iniziativa di raccolta
pubblica dei contributi. A quel punto diversi sindaci fanno quattro conti e
rimarcano che il tempo è troppo poco. Il tempo stringe e le scadenze non
vengono spostate. Il giorno dopo, il 6 novembre, si riunisce la commissione
statuto per esaminare il cosiddetto testo PIM, realizzato da un gruppo di
docenti delle Università milanesi su incarico del PIM, il quale a sua volta è
stato incaricato dall’assessore al decentramento del Comune di Milano Daniela
Benelli. Un testo che appare essere subito il “preferito” dai decisori politici
(PD e FI).
L’audizione dei professori,
coordinati da Enzo Balboni, docente di diritto pubblico in Cattolica, già
presidente di una delle maggiori public utility del milanese come CAP Holding
spa, la super municipalizzata che controlla e gestisce quasi 200 acquedotti
comunali, è stata esemplare e molto istruttiva. Balboni ha spiegato quali sono
state le motivazioni del gruppo di docenti incaricati e il quadro giuridico di
partenza. La Delrio ha scelto una soluzione strutturale, rispetto a una
funzionale per la C. M., che per Balboni sarebbe stata più adatta a Milano. Ha
posto l’accento sulle risorse decrescenti, che pongono parecchi interrogativi
sulla effettiva capacità operativa, proseguendo con l’esposizione delle scelte:
la prima è quella di creare una specie di “gestore” della C.M., a metà strada
tra il livello politico e quello amministrativo, che hanno denominato
“sottosegretario”. Poi è stata illustrata un’altra scelta, molto politica, di
formare una specie di “giunta” in seno al consiglio metropolitano, composta da
un massimo di otto consiglieri, forniti di apposite deleghe da parte del
sindaco metropolitano.
Sul punto chiave dell’elezione
diretta c’è una adesione puramente formale, perché di fatto hanno spiegato che
il tutto è rinviato alle calende greche, forse alle elezioni del 2021. Infine,
è prevista la formazione delle aree omogenee tra comuni, organizzate con una
assemblea e un presidente. A loro volta raccolti in un altro organo collegiale
denominato “conferenza dei presidente delle zone omogenee”. Sulla parte
organizzativa della Città metropolitana in senso stretto, la bozza di statuto
PIM prevede che ci siano varie figure: un direttore generale, un segretario
generale, direttori di uffici di staff politici, direttori delle varie aree
funzionali più le articolazioni interne.
Sul versante funzioni, oltre a
quelle definite dalla legge Delrio, aggiungono anche la “Stazione Appaltante
Unica”, una specie di grande fratello degli appalti, una centrale della committenza
per aggiudicare lavori, forniture e servizi, nonché la concessione di servizi
pubblici.
Gli istituti di partecipazione
classici sono stati quasi tutti inseriti nella bozza di statuto: i referendum
d’indirizzo, l’istruttoria pubblica sulle grandi opere, istanze e petizioni, il
diritto di accesso, la pubblicità degli atti. C’è anche il forum metropolitano
della società civile, però, quando si parla di regole, è nei dettagli che il
diavolo si nasconde. Per capire la reale portata delle presunte innovazioni
occorre addentrarsi nelle infinite pieghe delle norme, per vedere che per il
cittadino sono strumenti praticamente disattivati.
In filigrana si intravvede una
costruzione molto complessa, organizzata su molteplici livelli gerarchici o
centri decisionali, che sono almeno nove: il Sindaco di Milano è il capo di
tutta la C.M., che discrezionalmente nomina un Vice, con poteri che possono
essere notevoli, poi discrezionalmente sceglie dei consiglieri, ai quali
concede delle deleghe. I delegati si riuniscono in una specie di giunta, che è
la maggioranza in consiglio. Il Sindaco discrezionalmente nomina il
sottosegretario, una specie di factotum, a seguire il direttore generale e il
segretario generale, i quali a loro volta nominano altri direttori. È un idea
di potere quasi feudale, su base fiduciaria.
All’esterno i comuni sono
organizzati in zone omogenee e sono rappresentati da un presidente di zona, i
quali a loro volta si riuniscono in una conferenza dei presidenti di zona.
Infine, c’è la Conferenza metropolitana, che è l’assemblea dei sindaci, che
dovrebbe essere il principale organo di indirizzo politico della C.M. Nella
bozza PIM le competenze della Conferenza sono pochissime e blindate da un
quorum decisionale basso. È un labirinto di “poteri” e decisori, che può
spaventare il cittadino e i comuni, con il rischio concreto che i sindaci
possano ritrovarsi sulla testa un “piano Strategico”, dal vago sapore retrò,
quasi da epoca sovietica.
Un diluvio di norme che riserva
poche briciole alla società civile, che però cerca di farsi sentire rispondendo
numerosa alla Open Call della commissione statuto.
Vincenzo Meroni
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