05.07.2012
Per chi vuole approfondire il nuovo concetto di
“democrazia della rete” detta anche impropriamente “democrazia dal basso”,
riportiamo qui sotto un interessante articolo di Carlo Vulpio, apparso su La
Lettura – Corriere della Sera del 1/7/2012. L’autore partendo da una recente
intervista rilasciata da Beppe Grillo a un giornale israeliano, spiega
sinteticamente ma chiaramente tutti i trucchi della rete, i suoi falsi utenti,
i provocatori, i manipolatori e soprattutto tutti i rischi della cosidetta
“democrazia dal basso”. Da leggere.
Sullo stesso argomento, linkato anche un altro valido e
interessante articolo da e di Michele di Salvo dal titolo - Chi c’è dietro Beppe Grillo
e il suo “movimento”.
La Rete è un trucco.Cosa insegna la recente intervista di
Grillo a un giornale israeliano. Falsi utenti, provocatori, manipolatori. Tutti
i rischi della democrazia dal basso.
Tutto sommato dobbiamo esser grati all’esplosione pervasiva
della «realtà virtuale», perché può farci tornare a capire e ad apprezzare la
indispensabilità della «realtà reale». Soprattutto in quella parte della sfera
pubblica – la politica – in cui si vuol dare a credere che la Rete e tutto ciò
che è virtuale sia la Verità, la Luce, la Via, e dunque sia sinonimo di
migliore democrazia, più ampia partecipazione, vera trasparenza, perfetto
meccanismo di checks and balances, controlli e contrappesi. Quando invece è
vero tutto il contrario.
Questa convinzione – che tuttavia non è il frutto di una
furia iconoclasta anti Internet, quanto piuttosto della disillusione di chi in
buona fede aveva creduto in un sogno – si sta radicando con sempre maggiore
forza non solo tra gli spiriti più critici e gli studiosi più attenti e
disinteressati della Rete (Evgeny Morozov, Andy Clark), ma
anche tra quegli stessi «evangelisti del web» (come Jaron Lanier)
della Silicon Valley, che all’inizio degli anni Novanta
sognarono un cambiamento molto simile a una rivoluzione che avrebbe rinnovato,
in meglio, il mondo e che oggi si trovano ad assistere a una eterogenesi dei
fini di certo prevedibile e già vista, ma forse ancora reversibile.
Per chiarire, partiamo da un esempio concreto, di cui in
questi giorni si è parlato molto. L’intervista del quotidiano israeliano Yediot
Ahronot a Grillo. Il comico-politico genovese, tra le
altre cose, ha detto: «Tutto quel che in Europa sappiamo su Israele
e Palestina è filtrato da un’agenzia internazionale che si
chiama Memri. E dietro Memri c’è un ex agente del Mossad».
Libero ognuno di credere o no alle parole di Grillo, o alla verginità
dell’informazione. Per alcuni, come il sito Iran Italian Radio,
«Grillo smaschera la disinformazione su Iran e Siria»,
per altri scivola nel pantano dei soliti luoghi comuni. In entrambi i casi, la
questione fornisce un ottimo spunto alla domanda che qui interessa di più:
visto che Grillo conosce così bene chi «filtra» l’informazione sul Medio
Oriente, potrebbe finalmente illuminarci anche su chi «filtra» ciò che
viene pubblicato sul suo blog, che nel mondo www, il World Wide Web, è
annoverato tra i primi cento blog più letti e più influenti?
No, Grillo non lo farà. E non è questione di chi c’è dietro
di lui – se un’altra Memri o cosa -, ma di chi c’è davanti. E davanti, oltre al
team di bocconiani e manager che lo governa, guidato dai fratelli Gianroberto
(il capellone con la cravatta) e Davide Casaleggio, grandi
esperi di e-commerce, c’è la Religione della Noosfera, che
suonerà anche un po’ macabro, come Nosferatu, ma, secondo la
definizione di Lanier, è «il cervello collettivo formato dalla somma di tutti
gli individui connessi a Internet». Insomma, c’è il famoso «popolo della Rete»,
la folla che, celandosi dietro l’anonimato e lo pseudonimato, credendosi libera
ed essendo invece schiava (del totalitarismo cibernetico, del «maoismo
digitale»), «posta» i propri commenti sul blog del Grillo, che così diventa il
Nuovo Oracolo di Delfi, l’Intelligenza e la Coscienza Collettiva, il Testo
Sacro. Anzi, l’Unico Testo Sacro. Come in una teocrazia medioevale. Come in
Iran. E come in una teocrazia, cassa i commenti sgraditi e scomunica gli
eretici. E fa largo ricorso ai fake (utenti dalla falsa
identità che orientano la discussione), ai troll (utenti che
intervengono per provocare gli interlocutori o avvelenare il dibattito) e agli influencer
(utenti che appunto influenzano gli altri).
Il funzionamento di questo meccanismo è ben spiegato proprio
da Davide Casaleggio in «Tu sei rete», un manuale pubblicato nel 2008 che va
letto con attenzione se si vuol capire di che cosa stiamo parlando. Qui, la
teorizzazione delle regole dell’e-commerce e la visione della Rete come
Intelligenza Collettiva applicate al «prodotto» politico fanno impallidire
tutti i discorsi sulla capacità di persuasione, occulta e non, delle tv
commerciali. Qui, ciò che conta è saper innescare il viral marketing,
il messaggio contagioso che attraverso gli influencer e i fake deve raggiungere
le persone. Qui, ciò che conta è il tipping point, «il momento
in cui l’innovazione inizia a essere adottata dalla massa: è questo il momento
in cui tutto cambia». Qui, ciò che conta è poter dire alla fine: zitti tutti,
lo ha detto la Rete. La fonte di democrazia suprema. Poco importa se poi quella
Rete non esiste e quella che viene spacciata per iperdemocrazia dal
basso è una democrazia rovesciata, cioè una illusione di democrazia,
che procede dall’alto verso il basso, come il «centralismo democratico» dei
partiti comunisti (il comitato centrale nominava la direzione e questa i membri
dell’assemblea, anziché il contrario). Poco importa, infine, se l’intera realtà
e quindi anche gli esseri umani sono considerati soltanto un unico, grande
sistema informativo, una Rete di reti – questo il nuovo dogma – in cui ciò che
rileva sono i numeri, la folla, anzi l’ideologia della folla, disancorata dalla
realtà reale perché ormai completamente e fideisticamente immersa in quella
virtuale. La stessa «realtà» che viene propagandata come la più idonea a
sventare truffe e inganni (e in parte è anche vero), quando invece i più grossi
disastri finanziari – per esempio i casi Enron e Long
Term Capital Management – sono stati resi possibili proprio grazie
all’uso di grandi reti di computer.
E che dire degli attacchi informatici e delle manipolazioni
di ogni tipo da computer remoti, che possono falsare, modificare, inventare o
annullare qualunque cosa? Il caso raccontato da Lanier in «Tu non sei un
gadget» (Mondadori, 2010) è davvero inquietante: nel 2008, alcuni ricercatori
delle università del Massachusetts e di Washington
misero a punto un sistema per spegnere da remoto un pacemaker, e così uccidere
la persona che lo portava, attraverso la tecnologia della telefonia mobile.
Folle. Incredibile. Eppure, poiché consustanziale al Dogma Digitale, nessuno ha
fiatato. Nemmeno un colpo di tosse. Un altro caso, molto più comune, è il voto
che il carpentiere Arcangelo Cappiello, che ha la doppia
cittadinanza italiana e americana, ha dato via Internet a Obama
alle ultime elezioni. Obama ha vinto, ma Arcangelo dice che non saprà mai se il
suo voto è effettivamente andato al presidente in carica. Basta un black out,
vero o ad arte, e addio trasparenza del suffragio universale. Ecco, per la
democrazia, quella cosa di una testa un voto, meglio la scheda. Sì, proprio
quella di carta, che poi si può andare a controllare. E che ha anche un suo
odore. L’unico senso tra i cinque che nessun software è riuscito (e forse mai
riuscirà) a riprodurre.
Carlo Vulpio
Corriere della Sera, La Lettura, 01/07/2012
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