martedì 2 ottobre 2012

COME FINISCONO I PARTITI

Giuseppe Marazzini
02.10.2012

Come finiscono i partiti 
di Furio Colombo

In questa tribù, quando sentono venire la fine, i partiti si uccidono da soli. Lo fanno in modo complicato e grottesco con modalità che non lasciano scampo neppure per un decoroso ricordo. Si salvano a volte, e saltano nella presunta “nuova epoca” persone singole con l’espediente di aggrapparsi a una istituzione che, si suppone, dura più a lungo. Le procedure di distruzione sono strane e non prive di senso dello spettacolo, come farsi trovare nell’atto di impossessarsi di grandi somme di fondi pubblici esattamente nel momento in cui si sa che tutti stanno guardando. Ognuna delle due parti ha i suoi colpi esclusivi, in modo da essere malvisto nel proprio ambito naturale. Per esempio, il Pd fa sapere che considera sbagliato partecipare a una manifestazione in difesa del lavoro, perché si tratta di iniziative non adatte a un partito di governo. In tal modo si allontana da ogni effettiva possibilità di governo per un partito che dovrebbe cercare nel lavoro gran parte dei voti. 

Per esempio, il Pdl vuole tornare a non si sa quali origini, coltivando l’idea dell’ex Forza Italia di espellere l’ex An, e il proposito dell’ex An di prendere le distanze da ciò che fu e che resta di Forza Italia. Quanto alla Lega Nord per l’indipendenza della Padania, quel partito, dopo avere sottratto risorse pubbliche praticamente sotto gli occhi di tutti, ha espulso se stessa (ovvero il fondatore) e si è dichiarata “nuova”, cioè inesistente. Quanto al centro, dove molti promettenti leader si erano fatti trovare, anche abbandonando buone postazioni altrove, pronti ad assumere la guida di un mega partito di centro (o del Paese), non si è presentato nessuno. A tutto ciò, già abbastanza disorientante per cittadini di normale equilibrio psichico, si aggiungono due tipi di feste, di gusto e livello molto diverso, ma entrambe inspiegabili. Una è la serie di “Toga parties” (uso il nome che gli studenti peggiori delle università americane usano per le loro feste peggiori) lanciata da persone, gruppi e partiti di destra, evidentemente per celebrare vantaggi e guadagni, con un curioso esibizionismo di ciò che ai tempi di Mani Pulite si tentava di fare in segreto. Il carattere speciale di queste feste, con odalische, maiali e gladiatori, non sta nell’estremo cattivo gusto di quegli eventi, costumi, linguaggi e circostanze. Piuttosto, nell’esibizione e nel carattere pubblico di eventi ovviamente poco graditi e poco apprezzati dall’opinione pubblica, destra inclusa. In una curiosa simmetria troviamo le cosiddette elezioni primarie del Partito democratico. Non l’iniziativa, ma le modalità. Un primo carattere destinato a disorientare, irritare e allontanare gli elettori consiste nella confusione di regole, di tempi, di persone, con la forte impressione che ciascuno partecipi con motivi diversi e sempre personali .

Io non confonderei l’innegabile successo del tour di Renzi inteso come spettacolo dall’evento che riguarda il Partito democratico. Infatti, lo spettacolo ha successo, ma il Partito democratico perde prestigio, credibilità e punti nelle intenzioni di voto. Infatti Renzi dimostra che in quella casa (il Pd) non comanda nessuno, che ci scorrazzi dentro quando vuoi e come vuoi, che spingi via facilmente chi ci è seduto dentro (o almeno lo spintoni senza pagare i danni). Dimostri che, con un po’ di energia, invadenza e vitalità te ne puoi impossessare. Ma di che cosa? Della cosa non c’era definizione da chi era già seduto in casa. E non c’è alcun tentativo di descrizione (prima ancora che di definizione) dell’oggetto conteso mentre qualcuno lo sta conquistando. In realtà Renzi vuole un partito, non quel partito, ha bisogno di uno spazio per parcheggiare, non per abitare. La casa d’altri non gli interessa e tutti i suoi spettacoli parlano d’altro. Parla d’altro anche la disinvoltura con cui Renzi sta partecipando a primarie che non ci sono, seguendo regole che si è dato da solo.

E viene accolto dagli aggrediti con deboli sorrisi e deboli dinieghi che ci segnalano che lo spazio partitico (ormai un ex spazio partitico) si può occupare in modo facile e lieto. Interessante il progetto con cui gestire il nuovo dominio. È di rottamazione. Ma non, come ci viene detto, di poche persone attempate o troppo radicate nei ruoli. Infatti Renzi ha avuto la lucidità e il coraggio di capire e far capire che intende buttare all’aria la casa e togliere, finalmente, l’ultima tappezzeria della sinistra, qualunque cosa essa sia nelle varie storie e significati. I “ragazzi” vengono, col naturale impeto dell’età, a svuotare la casa dei vecchi mobili perché, essi sanno, col Muro di Berlino è crollato ben altro che i regimi dell’Est. È crollata anche la più mite socialdemocrazia, il più moderato mutuo soccorso. Renzi guida le sue truppe a occupare gli spazi vecchi di un nuovo gioco. Tutto il gioco si gioca a destra, e questa non è una accusa a Renzi di essere un infiltrato di destra. Invece interpreta con la consapevolezza dei tempi un nuovo ruolo,un ruolo che si svolge solo in questo nuovo grande contenitore di una destra mondiale che ha i suoi buoni e i suoi cattivi, i suoi estremismi e le sue moderazioni.

Racconta Concita De Gregorio su Repubblica (26 settembre): “Finalmente uno che non parla il linguaggio della Fiom”. Diciamo che nessuno lo parlava da un pezzo (salvo, a volte, Fassina) dentro il Pd. Ma qui il progetto è chiaro, rottamare. Muoiono i partiti, viva i partiti. Un cosa sappiamo: è tutta destra. Eppure questa non è un’accusa politica. È una constatazione. Controprova: “Se il Pd volesse davvero scongiurare un Monti bis dovrebbe paradossalmente fare proprio il programma di Monti, proporsi esso stesso come il bis. E infatti c’è un’ala consistente di quel partito che lo chiede. Nel Pd si fanno invece le primarie. Ma dietro la gara tra Bersani e Renzi si intravede il convitato di pietra. È su Mario Monti e sulla sua eredità che il Pd è chiamato a decidere” (Antonio Polito Corriere della Sera 29 settembre). Ovvero, l’alternativa è di non esistere.

Il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2012

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