30.05.2014
Martedì 3 giugno, al Leone da
Perego prima delle tre serate di "riflessione e confronto sul Piano di
Governo del Territorio del comune di Legnano". La prima serata sarà
moderata dall'assessore all'urbanistica di Legnano, Antonio Ferrè, il cui operato,
in relazione alla vicenda Ikea, è stato censurato dalle forze politiche di
minoranza Sinistra Legnanese, Movimento 5 Stelle, Nuovo Centro Destra e Forza
Italia. Ci sarà spazio per fare una riflessione sulla nuova "riforma
urbanistica" allo studio del Governo?
Riforma urbanistica: una proposta preoccupante
di Mauro Baioni 28 Maggio 2014 – Eddyburg.it
Se faceva male quando lavorava
con Silvio, con Matteo è diventato ancora peggio. Il Ministro Lupi propone un
nuovo disegno di legge sull'urbanistica: un coacervo di disposizioni con un
esplicito beneficiario: la proprietà immobiliare. Chiamarlo un progetto
mostruoso significa fargli un complimento.
Il gruppo di lavoro “rinnovo urbano” facente capo alla segreteria
tecnica del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, ha
predisposto e reso pubblica la bozza di disegno di legge riguardante i principi
in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana. Il
titolo primo, composto da 16 articoli, è dedicato ai principi fondamentali in
materia di governo del territorio, proprietà immobiliare e accordi pubblico-
privato. Il titolo secondo, composto da 5 articoli, riguarda le politiche di
“rinnovo urbano”, l’edilizia sociale e la delega al Governo, d’intesa con la
Conferenza unificata delle Regioni, per la riscrittura del testo unico
dell’edilizia (dpr 380/2001) al fine di introdurre ulteriori semplificazioni.
Qui di seguito forniamo alcune considerazioni sugli aspetti più critici
di questa proposta. Il testo è disponibile in fondo a questo post.
La Costituzione alla rovescia.
Beneficiario di questa proposta di legge è la proprietà immobiliare, così come
chiarito sin dal titolo primo e dall’articolo 1 dove si attribuisce ai
proprietari il diritto di iniziativa e di partecipazione – nella pianificazione
- per “garantire il valore della proprietà. “Il governo del territorio è
regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della
proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento” recita l’art. 8.
È il rovesciamento della Costituzione: quest’ultima impone vincoli e
obblighi alla proprietà privata in nome dell’utilità collettiva e stabilisce il
principio della “funzione sociale” della proprietà. Nella proposta di legge
urbanistica tutto è rovesciato: vincoli e obblighi limitano l’iniziativa
pubblica, affinché non produca riduzioni al valore immobiliare dei terreni.
La scomparsa del territorio.
Chiunque, anche un osservatore distratto, sa che le nostre città sono sorte
senza prestare adeguata attenzione ai rischi idrogeologici, alla protezione
della natura e alla considerazione del paesaggio. Nella proposta di legge
nessuna di queste materie (e nessuna delle leggi organiche che le disciplinano)
è menzionata, nemmeno per inciso. Sappiamo che le leggi di tutela, fortunatamente,
dettano disposizioni prevalenti rispetto a quelle della pianificazione, ma
l’obliterazione di questi argomenti in una legge che tratta del governo del
“territorio” riporta indietro di un secolo l’urbanistica, confinandola
nell’alveo angusto delle trasformazioni edilizie.
L’ignoranza dei centri storici.
Non meno clamorosa è l’assenza anche di un minimo cenno ai centri storici. Una
dimenticanza incommentabile.
La diluizione dello spazio
pubblico. Gli spazi pubblici sono l’essenza della città, l’elemento
qualificante e ordinatore. Senza spazi pubblici la città è ridotta ad un
ammasso di edifici. Non per questa proposta di legge, che oblitera il concetto
di “spazio pubblico”, lo sostituisce con una locuzione generica (dotazioni
territoriali) che comprende un coacervo di funzioni di interesse generale (agli
ospedali pubblici si sostituisce la salute, alle scuole l’istruzione, e così
via), nel quale tutto si equivale e si confonde. Ma soprattutto prosegue
l’accanimento contro gli standard urbanistici. Ogni regione può fare come gli
pare. Ma davvero il problema, per dare
qualità alle città italiane, è la cancellazione degli standard minimi di spazio
pubblico?
La compressione della democrazia.
Per ignoranza o per furia iconoclasta, la legge dimentica (o sopprime) ogni
riferimento democratico. Scompare dai principi nazionali non soltanto la
cosiddetta partecipazione, ma persino la possibilità di presentare osservazioni
e opposizioni. A maggior ragione, è assente ogni riferimento alla valutazione
ambientale e alle procedure di coinvolgimento del “pubblico” previste dalla
direttiva europea.
In sintesi, possiamo dire che nessuna delle funzioni di coordinamento
delle attività umane, nello spazio e nel tempo, che costituisce l’essenza della
pianificazione urbanistica è trattata in questa legge. Nessuna delle finalità
sociali (dalla tutela dell’ambiente e della salute alla conservazione del
paesaggio, dalla presenza di spazi e servizi pubblici alla gestione della
mobilità e dell’accessibilità) trova in questa legge alcuna traduzione. Nessuna
delle garanzie, anche minime, di democraticità trova assicurazione. Tutto è
delegato – in bianco – alle regioni, salvo la tutela della proprietà
immobiliare.
La morte della pianificazione
comunale. La pianificazione comunale è articolata in una componente “di
carattere programmatorio” e una “di carattere operativo”. La prima ha efficacia
(sic) “ricognitiva e conoscitiva”. Poco più di un libro. Non ha nemmeno un
blando carattere di indirizzo o di direttiva. Niente di niente: un mero scopo
ricognitivo e conoscitivo. Secondo la legge, il piano operativo deve essere
approvato (!) in meno di cinque o di dieci anni, altrimenti perde efficacia.
Qui il legislatore ha probabilmente confuso efficacia quinquennale del piano e
durata del procedimento di approvazione.
Tutto qui, per la pianificazione comunale? Tutto qui. La legge non dice
altro, che non riguardi il rapporto pubblico-privato.
Pubblico e privato. Al
rapporto tra pubblico e privato sono dedicati i contenuti salienti del capo I e
tutto il capo II del titolo I. Niente di nuovo sotto il sole, rispetto agli
istituti ben noti dell’urbanistica romana: perequazione, compensazione,
premialità edificatorie. La proposta di
legge, tuttavia, perfeziona tali istituti – nel senso deteriore del termine.
Occorre essere molto chiari: in base a questo Ddl, una volta che il comune
abbia riconosciuto la possibilità di costruire a fronte della cessione di
terreni o della realizzazione di opere, tale facoltà di edificare viene
trasformata in un “diritto”, non reversibile se non dietro indennizzo. Perde
quindi la sua natura urbanistica per trasformarsi nell’oggetto di un contratto.
Meditare quindi: ogni volta che il sindaco o la giunta o il consiglio
precedente (la legge non si occupa di distinguere quali organi assumono le
decisioni) riconosce un “diritto edificatorio”, produce un debito che
l’amministrazione successiva è chiamata a onorare o indennizzare. Spero che non sfugga la follia di questo
meccanismo che rende perpetua la rendita! A quale scopo? Per quale utilità
sociale, tutto ciò?
Rinnovo urbano. Tutto si fa
con il concorso dei privati, in deroga ai piani urbanistici operativi,
ricorrendo a incentivi urbanistici (in pratica, si ammette una generalizzata
densificazione). Se non possono essere applicati sul posto, gli incentivi danno
origine a trasferimenti di volumetrie in altre zone edificabili. L’idea che si
possa riconvertire edifici dismessi (e quindi privi di valore) attraverso
operazioni di diradamento, comunque remunerative dell’investimento, non è presa
in considerazione. Né sembrano esserci particolari facilitazioni per interventi
di recupero diffuso. Tutto si basa e
tutto si esaurisce nella concessione di incrementi di volume e deroghe.
Edilizia residenziale sociale.
La legge prevede, per l’edilizia residenziale sociale, il ricorso al permesso
di costruire in deroga: altra picconata alla pianificazione. Le definizioni di
ERS sono mutuate da analoghe descrizioni contenute in documenti e in
provvedimenti di legge, ma si omettono due questioni fondamentali:
- la distinzione tra alloggi pubblici destinati alle categorie sociali
svantaggiate, e sociali destinati alla cosiddetta “zona grigia”; equipararli e
confonderli è un errore: la produzione di alloggi sociali dovrebbe costituire
un tassello della pianificazione ordinaria, non un grimaldello per la sua
delegittimazione;
- nessuna specificazione è data dalla legge né sulle
categorie di beneficiari, né sulla commerciabilità degli alloggi (compresi
quelli, ab origine, destinati alla vendita), senza le quali l’edilizia
residenziale sociale è una truffa.